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INTER

Ultimo Aggiornamento: 04/07/2010 22:37
09/01/2009 13:29
 
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Rivelazione di segreti d’ufficio. Secondo la procura fu l’ex comandante dei Ros di Milano Mario Mettifogo a diffondere la notizia che nel maggio scorso fece scalpore: una serie di intercettazioni riguardanti un trafficante di droga e alcuni esponenti dell’Inter, vicenda marginale di un’inchiesta ben più complessa sul controllo della cocaina in città finita sulle prime pagine dei giornali subito dopo la vittoria di campionato dei neroazzurri. Per questo motivo, prima di Natale, il pm Luigi Civardi ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ufficiale dei carabinieri, considerato per altro uno dei più brillanti investigatori in forza alla stessa Procura, accusandolo di un reato pesante e infamante per un ufficiale sempre in prima linea come Mettifogo.

E’ forse la prima volta che un’inchiesta, aperta per fuga di notizie, approda a un finale così clamoroso, coinvolgendo nientemeno che il vertice del reparto operativo dei carabinieri del capoluogo lombardo. L’udienza preliminare è stata fissata per febbraio davanti al gip Giuseppe Gennari, che deciderà se rinviare a giudizio l’imputato. «Sono certo di poter dimostrare l’innocenza del mio assistito», dice Davide Steccanella, legale dell’ufficiale inquisito. Per il comandante Mettifogo, ora a Moncalieri, è un po’ come aggiungere al danno la beffa. Fu lui a tirare le fila delle indagini coordinate dal pm della Dda Fabio Musso su un traffico di cocaina che partiva delle storiche famiglie della ‘ndrangheta e si concludeva tra le piazze milanesi e quelle della Brianza. L’inchiesta, durata quasi due anni, approdò con un deposito degli atti in procura il 9 maggio.

Nella relazione dei carabinieri del Ros al pm, anche la raccomandazione di stralciare, perchè considerate penalmente irrilevanti, proprio le intercettazioni che sei giorni dopo, il 15 maggio, finirono sui giornali e che riguardavano alcuni dirigenti come Rocco Di Stasi e «Spillo» Altobelli, giocatori come Materazzi e Zanetti e l’allenatore dell’Inter Roberto Mancini, nonchè il suo vice Mihajlovic. Tutti amici o conoscenti di tale Domenico Brescia, uomo dalla doppia vita: frequentatore abituale della Pinetina, tifosissimo neroazzurro, titolare di un negozio di abbigliamento a Rovello Porro da cui si rifornivano alcuni atleti, considerato una sorta di tuttofare per la squadra del cuore, Brescia, 53 anni, sposato con 4 figli, aveva in realtà un passato da rapinatore e un presente, secondo i carabinieri, di piccolo trafficante di droga in Brianza.

Legato alle famiglie dei Crisafulli, tra le più pericolose tra quelle calabresi, da cui, si dice, ricevette uno di quei «piaceri» che non si dimenticano: un piccolo pregiudicato che voleva estorcergli dei soldi finì sotto un metro di terra con la faccia spappolata da tre colpi di lupara. Episodio per il quale Brescia venne condannato per concorso colposo in omicidio. Brescia, accusato in questo caso di aver acquistato nel 2006 due chili di coca da un certo Francesco Castriotta, ha sempre negato ogni addebito. «Il mio debito con la giustizia l’ho già pagato», dichiarò ai giornali prima di tornare nel carcere dal quale era uscito tempo prima in semilibertà. Semilibertà che gli aveva pregiudicato le sue apparizioni ad Appiano Gentile, dove gli uomini della security avevano ricevuto ordine di non farlo più entrare.

I rapporti con alcuni calciatori e con l’allenatore Mancini, mai negati dagli interessati, non si erano però interrotti: in lui i neroazzurri vedevano il tifoso sfegatato, ma anche l’amico cui rivolgersi per piccoli piaceri, dall’auto di lusso al brillante da regalare all’amica, al vestito da aggiustare. Tutte chiacchiere finite nei registratori dei carabinieri e verbalizzate. Chi le passò ai giornali? La Procura è convinta che fu il comandante dei Ros Mettifogo, visto che dai registri della caserma di via Lamarmora nei giorni precedenti la pubblicazione risultano gli ingressi di due giornalisti giudiziari. Il pm Musso ha negato che la notizia possa essere uscita dai suoi uffici: «Saran stati i tifosi dell’Inter», avrebbe detto al procuratore aggiunto Pomarici. Ma per l’avvocato Steccanella «risulta già evidente dagli atti che Mettifogo non era certo l’unico a sapere di quelle intercettazioni prima che uscissero gli articoli». Vedremo che cosa deciderà il gip.
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