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INTER

Ultimo Aggiornamento: 04/07/2010 22:37
16/11/2008 13:44
 
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I gol di Del Piero hanno aiutato la Juve a uscire dalla crisi, le reti di Ibrahimovic stanno mascherando in campionato le molte incongruenze nel «gioco nuovo» di Mourinho che anche ieri sera abbiamo faticato a riconoscere finché dal piedone dello svedese non sono partite nel secondo tempo le sassate che hanno annichilito il Palermo. L’Inter ha poi dilagato sprecando il 3-0 ed è tornata a essere sola in testa alla classifica, ripristinando le distanze, ma ciò non stempera le attese per lo scontro con i bianconeri sabato prossimo a San Siro (assente Cordoba per squalifica) e sarà davvero il ritorno a una sfida classica e decisiva. La temperatura della ritrovata rivalità la indicano i canti da stadio: si era a Palermo, ma dal migliaio e più di tifosi nerazzurri blindati in un angolo della curva salivano soprattutto i cori di insulto alla Juve.

Non immaginiamo come lo reciteranno tra una settimana gli interisti. Formano una squadra mai inquadrabile e in questo rispecchiano Mourinho, che ogni volta stupisce e non ci riferiamo alle dichiarazioni o agli atteggiamenti, ché ormai ne siamo vaccinati, ma alle idee di gioco. Ricordiamo una delle prime messe cantate che il provocatorio portoghese recitò alla Pinetina: disse che con lui si gioca sempre a tre punte «e saranno tre punte vere», aggiunse, per distinguersi da quei furbastri dei suoi colleghi italiani che fingono di disporsi con il tridente, che fa tanto allenatore coraggioso, e imbottiscono la formazione di mediani spacciati per ali e punte esterne. Ebbene al dogma mourinesco si è abiurato nel tempo. A Palermo l’Inter ha giocato con due punte e il più classico rombo di centrocampo, cioè uno degli assetti preferiti da Mancini, ma non ditelo al caro Josè perché ci considererebbe partigiani. La scelta di Muntari (al rientro dopo l’infortunio) alle spalle di Ibra e Cruz ha reso ben poco creativa l’aggressione nerazzurra e infatti il Palermo nel primo tempo ha tremato solo al 28’ quando Cassani si è attorcigliato su se stesso e Ibra è andato al tiro, respinto con i piedi da Fontana. Non c’era una pressione collettiva, spesso tra gli attaccanti e il centrocampisti, con l’eccezione del naufrago Muntari, a disagio nel ruolo non suo, le distanze si misuravano a decametri e l’appoggio di Maicon e Maxwell, subito bastonato da Carrozzieri, si faceva desiderare.

Il Palermo in 17 minuti arrivava sei volte al tiro, quasi sempre con Miccoli che è come i cacciatori che premono il grilletto ogni volta si muove una fronda e talvolta sparano al nulla. Julio Cesar in due occasioni era attentissimo e salvava la porta, nelle altre ci pensava la mira sbilenca dell’intraprendente piccoletto. Incensammo il Palermo per la vittoria a Torino sulla Juve. Forse non considerammo il contributo che in quella occasione diede Ranieri con la più scombicchierata formazione dell’anno, perché dopo aver visto i rosaneri in sette giorni contro Toro e Inter l’idea è che i siciliani siano una squadra dai gravi limiti, soprattutto in attacco dove non c’è un centravanti, a meno che non si spacci per tale l’inutile Cavani. La difesa nerazzurra, prese le misure, respingeva facilmente i cross alti indirizzati ai nani. In compenso si vedeva nell’Inter una novità elaborata a tavolino: i calci d’angolo di Maicon, che adesso si incarica di calciarli dalla destra e li piazza molto vicini alla porta, a girare: se il portiere non è sveglio rischia che qualcuno lo anticipi per un gol sicuro. Fontana, il vice di Amelia, nel primo tempo teneva botta, nella ripresa si sbriciolava davanti ai tiri di Ibra. Il primo, dopo appena 22 secondi, gli arrivava da trenta metri, forte ma non irresistibile. Lo tradivano i riflessi. Con il vantaggio, l’Inter giocava sul velluto, il Palermo non aveva la lucidità per arrivare in area di rigore e combinava pasticci a centrocampo per cui le occasioni del raddoppio erano più limpide di quelle per un pareggio. Ci pensava ancora Ibra. Conquistava la punizione per un fallo di Carrozzieri, difensore neanderthaliano con cui ha dato e preso botte per tutto il tempo: pareva che la scorrettezza fosse dello svedese, Tagliavento la pensava al contrario e il destro di Ibra ai 124 all’ora bucava la barriera disposta nella maniera stravagante che è diventata di moda. Fontana voleva vedere partire la palla. Quando la scorgeva era già in rete.
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