Donadoni: "Il mio Napoli formato Europa"
L'ex ct della nazionale ed attuale allenatore del Napoli, Roberto Donadoni, intervistato dal Corriere dello Sport, racconta il suo passaggio in azzurro e svela il suo rapporto caloroso con la città partenopea.
Donadoni, cosa chiedere a questa sua terza vita?
«Ho avuto tanto da calciatore e mi è stata offerta la possibilità di essere il Ct della Nazionale italiana. Ma le ambizioni restano e il desiderio di vincere non si placa mai, mai per nessuno. Anche chi insegue una salvezza pensa spesso a quello che potrà realizzare in futuro. Io, per ora, studio questo Napoli, ma è chiaro che guardo oltre. Voglio vincere e non restare uno qualunque».
Per un bergamasco- milanese cosa rappresenta Napoli?
«Non mi poteva capitare una piazza più calda e più passionale, uno dei club più stimolanti. Sono orgoglioso di essere qui. L’impatto è stato favorevolissimo e il rapporto con De Laurentiis è andato immediatamente ben al di là dell’aspetto professionale. Ho trovato una società che funziona e una squadra che Marino ha attrezzato con competenza, con giovani di qualità e di sicuro spessore, tanto per confermare che è possibile essere lungimiranti ovunque».
Lavezzi ed Hamsik sono degli intoccabili?
«Giocatori di assoluta importanza, pezzi che il Napoli si è assicurato giocando d’anticipo sui concorrenti. Uomini che tracciano una scia sulla quale continuare: sarà quello il livello di calciatori da inseguire, senza però dimenticare che l’intero organico abbonda di talenti e di gente affidabile».
Facciamo i nomi, allora.
«Posso cominciare con il dire che perdere Maggio e Gargano ha rappresentato un pregiudizio rilevante. Ma in questo mese di lavoro sono stato sorpreso da uomini che conoscevo di meno e che invece si sono rappresentati in maniera differente da quella che avevo immaginato. Cannavaro, ad esempio, mi ha indotto a darne una valutazione assai più ampia, perché visto da vicino non è per niente macchinoso, ma uno splendido atleta. E Contini sta dimostrando affidabilità. Mentre Santacroce deve semplicemente crescere. Ma a Genova, tanto per citare l’ultima gara, Pazienza ha stupito e Zalayeta e Denis, gol a parte, si sono presentati con lo spirito giusto».
Genova, Sampdoria, dunque Cassano...
«Antonio l’ho trovato persino euforico e la sua accoglienza è stata calorosa, una manifestazione d’affetto che mi ha gratificato. Io con lui ho avuto un ottimo rapporto e nessun tipo atteggiamento diverso, rispetto a quello riservato agli altri calciatori. Ci siamo capiti d’istinto, ci siamo presi in maniera diretta. Cassano è il calciatore ideale per qualsiasi allenatore, che in blucerchiato ha trovato l’ambiente ideale per esprimersi. E’ un calciatore di grandissimo livello».
Tre partite, tre pareggi, tre giornate diverse.
«L’emozione più forte è stata quella nell’entrare al San Paolo, una cattedrale, uno degli stadi più importanti, spesso crocevia della mia carriera. Ma i brividi me li ha provocati Pirlo, prima di cominciare la sfida con il Milan, venendomi incontro ed abbracciandomi in maniera trascinante. La conferma di aver costruito qualcosa soprattutto sotto il profilo umano».
Allarghiamo i confini: un anno fa era ancora sulla panchina della Nazionale. «E’ acqua passata. Io non sono solito voltarmi. Esperienza intensa, che mi ha arricchito moltissimo, che ha accresciuto il mio bagaglio personale. Ho conosciuto calciatori nuovi, i migliori in circolazione, e sono migliorato, riuscendo a smussare alcuni aspetti caratteriali».
Pensa mai ai rigori con la Spagna?
«Mai. Solo quando mi vengono ricordati».
E alla vicenda-contratto?
«Nella maniera più assoluta, mai. Finita in archivio»
Guardare le partite degli azzurri in tv fa pensare che ci sia ancora qualcosa di Donadoni? «Credo che qualcosa resista, sicuramente molti di quei calciatori che erano con me. Poi poter avere le prime scelte dell’intero panorama, mette chiunque in condizione di decidere secondo parametri personali».
La Federcalcio s’è fatta viva, dopo l’ingaggio del Napoli? «Ho ricevuto i complimenti dal presidente Abete».
Dopo quel divorzio, c’erano state altre offerte?
«Ne ho lette tante, ma in verità ho ricevuto molto meno proposte di quelle che ho ritrovato citato. Quando è arrivato De Laurentiis, è stato come un richiamo: avevamo avuto contatti personali qualche anno fa, ora invece sono entrati in ballo gli aspetti calcistici ed ho intuito che le valutazioni, da entrambe le parti, erano fondate su stima reciproca».
La stagione sta finendo: è già scudetto all’Inter?
«Lo possono perdere solo loro, come ha onestamente ammesso anche Ranieri. E’ vero che restano ventiquattro punti a disposizione, ma bisognerebbe veramente farsi del male».
Ma questo Mourinho le piace?
«La premessa è: leggo poco e quindi qualcosa mi sfugge. Lui mi è simpatico, anche se certe uscite mi hanno lasciato perplesso e a volte ha dato l’impressione di essere poco carino ed educato nei confronti dei colleghi».
Intanto, lei ha un contratto più lungo dello “Special One”... «Però per mettere assieme i suoi guadagni me ne serviranno ventidue....» .
Lei è stato il primo grande acquisto dell’era Berlusconi ed è stato definito da De Laurentiis l’allenatore del prossimo quinquennio del Napoli: differenze tra i due presidenti? «Ho conosciuto Berlusconi per un periodo lunghissimo, mentre ho avuto appena modo di far conoscenza con De Laurentiis. Direi che entrambi hanno una spiccata personalità, uomini di carattere. E, d’altro canto, chi decide di acquistare il Napoli e guidarlo, insieme a Marino, a certi livelli di managerialità, deve avere per forza una spiccata mentalità imprenditoriale».
Ha mai avvertito la possibilità di avvicinarsi alla panchina del Milan? «Solo sui giornali c’era questa percezione. Ma sino a quando non succede, inutile star lì a vagheggiare idee. Il mio sogno, da ragazzo, era giocare con la maglia rossonera. Ora, molto più praticamente, costruire un ciclo lungo qua».
Ancelotti resterà dov’è?
«Dalle frasi di Carlo, che ascolto in tv, direi di sì. E anche il dottor Galliani ha chiarito la vicenda-Leonardo».
La sua prossima impresa: restituire il Napoli agli antichi splendori... «La storia del club parla chiaro, ma anche in senso negativo. Questa società è stata rifondata in maniera immediata dopo la retrocessione, che è vecchia appena di cinque anni. Non facile ritrovarsi in A. Ma è chiaro che le tradizioni hanno un peso. La prospettivaEuropa è quella a cui ci rifacciamo. Il Napoli di inizio stagione era stato capace di stupire, magari spingendosi oltre le proprie possibilità: ma c’è una struttura su cui lavorare».
Di quanti uomini avete bisogno?
«Sarei presuntuoso se dopo un mesetto mi permettessi di dire dove e come intervenire. E poi, come sottolineato, ho già avuto modo di ricredermi su alcuni calciatori. Con De Laurentiis e con Marino parleremo a tempo debito, confesso che nelle ore in macchina trascorse con il dg per venire qua al Corriere abbiamo già parlato di mercato, ma di quello della frutta....».
Per ora, dove colloca il suo Napoli?
«E’ in condizione di inserirsi in quella cosiddetta seconda fascia. Ma quest’anno ne sono capitate tante, infortuni seri, la squalifica di Mannini, un periodo- no che ha inciso psicologicamente. Però al completo questo gruppo può essere - e a ragione - ambizioso assai».
Cercherete una doppia punta da doppia cifra? «I bomber da doppia cifra sono sempre quelli dell’anno prima, poi magari li prendi e vanno male per varie cause. Ma Zalayeta e Denis sono buoni giocatori che sto osservando. A Marassi hanno segnato e trovato la determinazione giusta».
Il Napoli di Donadoni come sarà?
«Avrà un’anima, sarà un gruppo, perché io da calciatore ho sempre penato che si debba ragionare inseguendo la coesione ed ora che sono allenatore ho altri mille buoni motivi per continuare a credere in questa teoria. Il sistema poi lo deciderà l’organico: quando ho cominciato mi piaceva il rombo, poi ho utilizzato il tridente ed il 3-5-2».
Di chi è figlio Donadoni?
«Un po’ di Bianchi, un po’ di Sacchi, un po’ di Capello, di Sonetti, di Zaccheroni: è chiaro che c’è in me una miscela delle esperienze precedenti. Alle quali ho aggiunto le idee del sottoscritto" .
Ma da quando si potrà dire che in questa squadra si vede la sua mano?
« Penso che qualcosa abbia intrufolato di mio sin dall’avvento, almeno i sistemi di lavoro. Poi è chiaro che non potevo arrivare e stravolgere. Ho calciatori che però mi seguono, che sto analizzando e dai quali, ovviamente, vengo studiato. In questi mesi che vanno sino alla fine del campionato studieremo, però cercando risultati».
Tra quelli sotto la lente d’ingrandimento c’è Russotto?
« Ha tanto lavorare ma deve tirarlo fuori. Può giocare da seconda punta, da attaccante esterno del 3-4-3 o del 4-3- 3, deve migliorare il sinistro e, soprattutto, è ancora tanto ragazzo. Ma ha numeri a sua disposizione».
Marino ha costruito una squadra proiettata nel futuro, ma i vostri prossimi acquisti saranno ancora giovani o dovranno essere già pronti?
« Abbiamo ragazzi potenzialmente forti, alcuni, come Lavezzi ed Hamsik, di elevatissima qualità. Intanto, gli altri non devono aspettare sempre che tutto dipenda dalle invenzioni del Pocho e di Marek, ma sfruttarne le capacità e sostenerle. Però bisogna ammettere che entrambi hanno margini di miglioramento notevolissimi, perché dalla loro hanno l’età. Mi hanno lasciato ottime sensazioni, per il modo in cui si sono calati nella parte, ma a volte la gioventù non basta...».
Chi vince la Champions?
« Il Barcellona non mi sembra una squadretta e dà soddisfazione vederlo giocare. Ma anche il Manchester non scherza, anzi m’entusiasma».
Può esserci ancora un Cagliari, un Verona, un Napoli campione d’Italia?
« Sarà difficile interrompere questa egemonia. Io spero di essere smentito, perché questo vorrebbe dire che anche il Napoli ha le sue chanche di scudetto ».
Vive ancora in albergo?
«E’ mia moglie che cerca casa, io per ora guardo il green di Castelvolturno dall’alto della mia stanza. La città non ho fatto in tempo ancora a visitarla. Ma scegliamo tra Pozzuoli, il Vomero e Posillipo: è li che ci hanno indirizzato e speriamo di trovare».
Ha ridato fiducia a uomini che vivevano nella penombra?
«Però sono sotto contratto con il Napoli, che quindi li ritiene meritevoli di attenzione. Amodio, Pià, Grava sono utili, lo hanno dimostrato. Io penso che sia importante lo spirito con cui ci si mette in competizione e loro hanno mostrato di avere quello giusto».
Cannavaro, ma Fabio, è stato un punto fermo della sua Nazionale...
«Senza scendere nel dettaglio, posso solo dire che talvolta si vengono a creare situazioni equivoche soprattutto a livello mediatico, ma da quando sono qua a Napoli non ho mai affrontato il tema. E poi lui è al Real, con un contratto che pesa. Vabbè che si libera a parametro zero...».
C’è anche Panucci libero, a giugno... E lei lo volle in azzurro...
«In quel momento stava facendo bene ed io lo ritenevo il migliore in circolazione nel suo ruolo. Se poi vogliamo scherzare, e con Fabio e Christian posso permettermelo, prenderli assieme vorrebbe dire spingere Donadoni a mettersi le scarpette e giocare con loro » .
Il calcio inglese è così avanti rispetto a quello italiano?
« Per niente. I risultati questo dicono, ma lo sviluppo delle gare non ha fatto notare differenze tanto evidenti».
Le due squadre-sorprese dell’anno?
«Il Genoa e il Cagliari. Stanno esprimendo buon calcio e stanno meritando. Allegri ha avuto qualche difficoltà in più di Gasperini, soprattutto all’inizio, ma ne è uscito in maniera splendida ».
L’anno prossimo ritrova il Livorno in A?
« Me lo auguro. Perché ho ricevuto tanto e sono legato alla città».
Sabato prossimo ritrova la sua Atalanta.
«Gara nostalgica, anche se ormai ho smesso da un bel po’ di essere un ragazzino ed ho attraversato varie fasi dell’esistenza. Però il giorno del debutto mi sembra ieri: mi mandò in campo Ottavio Bianchi, che poi sarebbe divenuto l’allenatore del primo scudetto del Napoli».
Cosa le ha detto, per aiutarla a conoscere questa città?
«L’ultima volta che ci siamo incontrati, l’ingaggio di De Laurentiis era ancora di là da venire. Da quando sono arrivato in azzurro, non abbiamo avuto modo di vederci o di sentirci. E poi io sto sempre a Castelvolturno».
Saranno due mesi con gli occhi sbarrati...
«Siamo qui per capire come intervenire in futuro, ma non vogliamo trascorre queste otto giornate soltanto ad osservare. Vogliamo fare risultati. I tre pareggi sono stati utilissimi, perché sono serviti per riacquistare un po’ di autostima che era andata perduta in precedenza. E poi a Genova abbiamo dimostrato anche di avere un cuore. Due volte sotto, due volte capaci di riagguantarli. Siamo sulla strada giusta ».