Biciclette

YOANI SANCHEZ

Vent’anni fa le nostre strade cominciarono a riempirsi di biciclette e a svuotarsi di auto. Non si trattava di una moda per proteggere l’ambiente o per fare esercizio fisico, ma era il risultato diretto della fine del sussidio sovietico. Una volta interrotta la somministrazione di petrolio a prezzi preferenziali da parte dell’Est, il trasporto pubblico andò in tilt e mio padre perse il suo impiego come macchinista di treni. In quegli anni per andare al lavoro impiegavamo l’equivalente di mezza giornata lavorativa e spesso viaggiavamo attaccati alle porte degli autobus, come grappoli umani.

Allora arrivarono diversi carichi di biciclette dalla terra di Deng Xiaoping e furono distribuite tra gli operai più produttivi e gli studenti migliori. Il premio per un lavoro meritorio o per la fedeltà ideologica non era più un viaggio nella Repubblica Democratica Tedesca o la consegna di una Lada ultimo modello, ma una luccicante bicicletta marca Forever. Comparvero ovunque parcheggi per proteggere i veicoli leggeri dai ladri e mio padre aprì un’officina per riparare le gomme bucate. Vennero fuori persino nuovi modelli dotati di sedili per bambini, carrelli e cestini anteriori.

Persino le donne in età avanzata, poco propense a mostrare le gambe mentre pedalavano, finirono per adeguarsi ai tempi. Quando fu autorizzato il dollaro come base dell’economia, venne permesso ad alti funzionari, artisti e stranieri residenti di importare le loro auto, mentre i turisti potevano noleggiare una Peugeot o una Citröen. In questo modo le strade provarono di nuovo il ruotare costante degli pneumatici. Le biciclette cominciarono a diminuire perché non arrivavano più navi piene del prezioso carico, i pezzi di ricambio scarseggiavano e i cubani si stancarono di dover pedalare per andare da ogni parte. Un lieve miglioramento nei percorsi degli autobus, ha consentito a molti cubani di disfarsi di quella compagna a due ruote, come se con quel gesto si stessero liberando della crisi.