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TORINO, 9 gennaio - Bufera Toro, lo sfogo dei giocatori continua. A parlare è Pisano, il rappresentante dello spogliatoio granata nei rapporti con l’Associazione calciatori. Almeno finora, visto che è finito fuori squadra...
Buongiorno, Pisano. Come sta? Abbiamo appena parlato con Marronaro, il suo procuratore. L’ha descritta ancora sotto shock per l’aggressione dell’altro giorno, così come il suo compagno Colombo, anche lui seguito dal suo manager. Entrambi avete preso schiaffi, durante il raid al ristorante.
«Sì, momenti bruttissimi. Ma più ancora è stato terribile vedere mia moglie e uno dei nostri due figli, che non ha nemmeno 4 anni, in lacrime, spaventatissimi. Come i due bambini di Di Michele, il figlioletto di Diana... E poi le altre mogli, le altre compagne che c’erano... Violenze ingiustificabili anche dal punto di vista psicologico. Di fronte a bambini di pochi anni... Vi rendete conto? Non avete neanche idea io e mia moglie quali sforzi abbiamo dovuto compiere, dopo, per tranquillizzare il nostro bambino... Sì, a ripensarci sono ancora sconvolto».
Cosa ha fatto, mentre arrivava la polizia?
«Ho telefonato al presidente Cairo, quella notte. E lui mi ha subito risposto:“ Io non c’entro niente”. E io ho replicato:“ Non le ho mica detto questo. Io voglio dirle un’altra cosa: sappia che non sono più disposto ad accettare passivamente quello che sta capitando. Io devo proteggere innanzi tutti i miei bambini e mia moglie. Per cui domani mi reco al campo d’allenamento, prendo la mia roba e me ne vado”. Sì, perché a queste condizioni non è più una vita. Ma lo capite? Ho paura per i miei bambini a portarli al parco, a camminare con loro per strada, a rientrare con loro a casa dopo averli presi all’asilo. Secondo voi un padre può accettare tutto ciò? No, no, no. Piuttosto smetto di giocare, anche se ho solo 28 anni».
Perché però è rimasto, il giorno dopo?
«Beretta, l’allenatore, ha dimostrato grande umanità e comprensione nei nostri confronti. E poi la squadra ha cercato di restare il più possibile unita per denunciare l’accaduto: affinché tutto ciò diventi uno spartiacque. Perché si inizi a combattere fino in fondo la violenza. Ma deve muoversi tutto un sistema, pochi giocatori non possono fare nulla».
E’ appena uscita su Internet una sua intervista. Ha voglia di chiarire meglio certi passaggi?
«Va bene».
Lei e altri compagni non siete partiti per il ritiro pregara col Cittadella per i motivi appena detti. E’ così?
«Quando stamane (ieri mattina, ndr) ci hanno chiesto chi non se la fosse sentita di salire sul pullman, io sono uno di quelli che ha alzato la mano. Poi Beretta, sempre per proteggerci, con grande sensibilità si è comunque assunto la responsabilità di decidere lui, d’intesa con la società».
Ma è vero che il Toro voleva cederla già a luglio?
«Non solo me. In estate volevano fare piazza pulita, era noto a tutti. Ma non ci sono riusciti. E adesso dicono che vogliono dar via tanti di noi come se il problema fosse nato improvvisamente. Come sapete, per quel che mi riguarda, mi hanno fatto giocare pochissimo. Probabilmente sono stato messo fuori perché guadagno tanto ».
Siamo agli ultimi giorni di Salò o cosa, dentro e attorno al Torino?
«A mio avviso ci vorrebbero altri modi e metodi per gestire certe situazioni. Purtroppo adesso si è giunti a un punto di non ritorno. Si è cercato di nascondere a lungo certe problematiche, ma ora non lo si può più fare. E’ tutto esasperato. La gente non ne può più di certe promesse, di certi proclami che poi vengono disattesi. Il Toro è una società giovane che probabilmente ha bisogno di essere strutturata con persone di altro calibro. Questa è una piazza bellissima: e se le cose vanno bene, ti porta alle stelle. Il problema è che devi calcolare che le cose possono anche non andare bene: e devi essere pronto ad affrontarle. Probabilmente sia nel primo che nel secondo caso il Torino non è in grado di farlo. Non c’è una società vera, non c’è un progetto, in tutti questi anni non si è costruito nulla. E ciò che veniva costruito, poi era regolarmente smontato dopo pochi mesi. Il problema non è l’assenza di un team manager e basta. Il mio è un discorso molto più ampio e generale. Al Toro ogni 3 mesi si cacciano gli allenatori e i direttori sportivi. Non si è mai fatto nulla di concreto a lungo termine. Si è solo cercato dei colpevoli, a turno: ora gli allenatori, ora i dirigenti, ora i calciatori. A ripetizione, anche dopo pochissimo tempo. Non si è mai cercato di costruire per davvero una società, un gruppo. E ora è tutto da rifare da zero. Così facendo non si dà continuità, si crea solo confusione durante la stagione, si tolgono di continuo punti di riferimento ai giocatori e agli stessi allenatori o ai dirigenti, non si crea uno zoccolo duro di giocatori che remi nella stessa direzione e che poi aiuti gli ultimi arrivati a inserirsi... Se il Torino avesse una vera società, oggi non saremmo in B in questa situazione. Qui non si lasciano lavorare le persone in cui però si dice di credere. Non si crea mai un terreno fertile. In compenso la violenza e le calunnie attorno a noi proliferano. Tipo queste follie totali delle presunte scommesse. Un’assurdità a 360 gradi. E ve lo dice uno che, come tutti, non può tollerare in nessun modo che possano continuare a girare voci infamanti, false, anche solo nei forum. Basta, così non si può andare avanti. Lo dico con il dolore nel cuore: Torino è una delle città più civili e belle d’Italia, io e mia moglie stavamo benissimo qui, eravamo felici... Ma ormai, purtroppo... E sia chiara un’altra cosa: dico tutte queste cose augurando al Toro e ai suoi magnifici tifosi... quelli veri... di uscire al più presto da questo incubo. Proprio perché si è arrivati a un punto di non ritorno. E ha ragione Petrachi: se non cambiano i metodi, davvero il Toro rischia di sfasciarsi del tutto e finire in C. D’altra parte dopo questi anni siamo in presenza di un fallimento gestionale evidente a tutti. Intanto, però, i tifosi sono stati presi in giro per troppo tempo: promesse, proclami continui... Comunque è la mia opinione, non mi atteggio da giudice».
Ma anche molti suoi compagni la pensano come lei. O addirittura tutti?
«Non sono l’unico. Ma per non mettere in difficoltà nessuno, è meglio che io parli solo a titolo personale. Comunque non sono certo l’unico, è vero... ».
Ha accennato alle scommesse. Perché nel vostro comunicato di denuncia dell’aggressione non avete smentito quelle voci?
«Perché percepivamo che, attorno a noi, c’era chi si preoccupava quasi soltanto di quelle voci... bufale pazzesche... e invece minimizzava l’aggressione. E noi volevamo che tutta Italia comprendesse che davvero nel calcio non si può più andare avanti così, tra violenze continue da una città all’altra ».
Lei è il rappresentante dello spogliatoio granata nei rapporti con l’Associazione calciatori.
«E ringrazio l’Aic per la solidarietà che ci ha mostrato. Ma ormai, come potete immaginare, non ricoprirò più questo ruolo nel Torino...».
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