Ha un cognome che al Toro è indice di fortuna e da giocatore militava in quella Pro Sesto tanto cara al presidente. Forse anche per questo lo scaramantico Urbano Cairo ha deciso di ingaggiarlo per centrare l’obiettivo minimo di inizio stagione: tornare in serie A. Mario Beretta ha 26 partite per rilanciare un Toro che doveva distruggere tutti ed invece si è arenato quasi subito.
L’illusoria fiammata iniziale, 12 punti in 5 partite, ha lasciato spazio ad una processione di 11 punti nei successivi 11 incontri. In più la mancanza di gioco e la scomparsa della grinta hanno sancito la condanna di Colantuono 167 giorni dopo il suo arrivo. Un’era durata pochissimo, anche per l’equilibrio mai nato con questo sergente di ferro, che ora lascia spazio ad un collega che non ama urlare ed è sempre stato apprezzato per la sua filosofia offensiva. «Ho giocato a lungo come Scala - disse agli inizi -, sono stato a Foggia per studiare gli schemi di Zeman, e Sacchi è il modello per l’intensità degli allenamenti». Beretta si impose così con la Ternana in serie B nel biennio 2002/2004, dopo una lunga gavetta tra giovanili e serie C, e da lì spera di ripartire dopo qualche gioia ed alcune delusioni in serie A tra Chievo, Parma, Siena e Lecce con tre salvezze e due esoneri.
Milanese e milanista sfegatato, sposato con Nadia e papà di Matteo e Nicolò, il «Barnetta» di mourinhiana memoria è un appassionato lettore di libri sul terrorismo di ogni epoca. Dunque non dovrebbe spaventarsi di fronte alla fifa nera di un Toro che si trova contro i tifosi e in un ambiente che ha prodotto otto esoneri in tre anni. «Io non ho paura», si è confidato ieri il tecnico dopo la lunga trattativa che ha sbloccato il suo arrivo sulle basi di un contratto da 500 mila euro fino a giugno 2010 più premio promozione e opzione di rinnovo in caso di A.
Oggi Beretta arriverà da Brugherio e prenderà possesso del Toro, allenamento alle ore 15 a porte aperte. Poi dovrà decidere se partire per un ritiro prima della trasferta a Lecce col Gallipoli (gli incroci del calcio, si torna sul luogo del sesto ed ultimo esonero) per conoscere meglio giocatori che non ha mai guidato. Gli unici due che ha avuto in questi anni, Loria e Coppola al Siena, sono fuori uso per infortunio, ma il Beretta amante delle regole, della meritocrazia e della tecnologia (a Lecce col suo staff produceva una chiavetta Usb di dati su ogni avversario da dare ai propri uomini) non avrà problemi ad introdursi nello spogliatoio. Con lui ci sarà il vice Carlo Garavaglia, il preparatore Paolo Lazzarin e il collaboratore Max Canzi.
Uno staff affiatato, anche perché il professore Beretta (era insegnante di educazione fisica al liceo) crede nel lavoro di squadra. Tanto da farci la tesi nel Supercorso di Coverciano. «Si intitolava “Organizza-zione e struttura di una società di alto livello” - ricorda il tecnico -, cioè come dovrebbe lavorare una società di grandi capitali: l’allenatore è il fulcro, un collaboratore per ogni reparto, un preparatore atletico per la potenza, uno per la forza e così via».
A Cairo, che ha speso quasi 7 milioni di euro per gli allenatori in questi anni, potrebbero fischiare le orecchie. L’importante sarà centrare la promozione e per farlo Beretta è pronto ad usare il 4-3-1-2 utilizzato nelle ultime stagioni, anche se il suo schema base resta il 4-4-2 in caso di trequartisti poco duttili. «Mio padre mi diceva sempre “Lapis much el fa spegasc”, che vuol dire “la matita spuntata fa sgorbi”. Bisogna usare sempre la soluzione appropriata».
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