Quando le donne non ne possono piu'

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aston villa
00martedì 3 giugno 2008 10:22
Succede che a un certo punto si fa un black out nella testa. La mente va in tilt e quello che non dovrebbe mai capitare, invece, capita. E’ successo alla madre di Lecco di dimenticare la sua Maria di due anni in macchina. Ma la sciagura, così come si è configurata, non appartiene al mondo dell’impossibile. C’era una volta una madre che raccontava una storiella illuminante. Quando una donna si alza dal divano e dice «vado a dormire», passa dal corridoio e mette a posto i giochi che giacciono in terra, va nella stanza del figlio, gli rimbocca le coperte e gli appende i vestiti, va in bagno e finisce di riordinare, prepara i vestiti del marito, la sua borsa del lavoro, controlla che tutto sia al suo posto, si lava e si mette a letto. Sono passate due ore dalla frase iniziale. Quando il marito dice «vado a dormire», va in camera da letto e si mette a letto. Sono passati cinque minuti dalla frase iniziale.

Questo raccontava una madre per dire che il clic arriva. Perché sei sola, perché gravano aspettative enormi e nessuno è lì a dividere la responsabilità con te. Madri funambole, donne da circo che corrono oberate di carichi su un filo appeso nel vuoto. Lo scrive Concita De Gregorio nel suo libro «Una madre lo sa», quando racconta le angosce e le inquietudini delle madri. Lo fa attraverso mamme famose come Brooke Shields che visse una forte depressione post parto e che ancora adesso si macera nel dubbio di non essere abbastanza presente per sua figlia. A Cannes Angelina Jolie s’interrogava sul futuro delle sue gemelline e degli altri cinque figli fino a dire, «sento di non goderli tanto quanto vorrei». Marida Lombardo Pijola autrice del best seller «Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano principessa», ha riscontrato che le ragazzine cubiste nella maggior parte dei casi sono figlie di mamme troppo impegnate e di padri assenti. Però la donna che vive scissa tra differenti dimensioni parallele e che alla fine ha la mente in corto circuito, interessa anche scrittori uomini. Per esempio Erri De Luca che con «In nome della Madre», affronta l’angoscia della maternità della donna per eccellenza, la Madonna, e studia il ruolo di suo marito Giuseppe. Pino Roveredo con «Caracreatura» affronta la disperazione di una madre che vede il figlio perdersi nei fantasmi della droga senza poterlo fermare. Una storia, quella di Lecco, che ha molto colpito Cristina Tardito, la stilista che ha una bambina molto piccola. «Avevo lavorato fino al giorno prima di partorire e subito dopo. La bambina aveva cinque mesi e io non mi fidavo troppo della baby sitter. Così ogni giorno me le caricavo in macchina e le portavo con me. Un giorno scendendo dalla macchina ho dimenticato le chiavi all’interno e gli sportelli di sono chiusi automaticamente. Ero fuori, la vedevo tranquilla ma non potevo rientrare. Mi sono lasciata prendere dall’angoscia e ho sfondato il vetro. Lì ho capito che ero stanca e che stavo chiedendo troppo alle mie forze. Era successo a me che sono precisissima, che non ho mai perso niente e mai dimenticato nulla. E’ stato un campanello d’allarme che mi ha fatto riflettere. Ero appena diventata madre, ero felice, in preda a un delirio di onnipotenza. Allora bisogna fermarsi e chiedere aiuto. Da quando ho letto della tragedia di Lecco ho la pelle d’oca». Anche Barbara D’Urso con i suoi figli piccoli si trovò di fronte a un bivio: «Magari mi dimenticavo di portarli alla partita di pallone, fortunatamente niente di più grave anche perché feci una scelta drastica. Lavoro e figli. Niente spazio per il resto. Essere madri è un lavoro faticoso, i compiti, gli scout, la palestra. E io delegavo poco. Ora però ho due figli come piacciono a me e mi sento ripagata». Stefania Prestigiacomo il suo primo figlio scelse di portarselo sempre dietro. Durante una colazione di lavoro si alzò e si allontanò con un sorriso fermo: «Devo allattare». Simona Izzo non stenta a ricordare: «Aveva cinque anni mio figlio e lo issai sul carrello al supermercato. Alla fine scaricai la spesa in macchina e lui che si era addormentato, me lo stavo dimenticando sul carrello. Fu un secondo ma capii che ero in preda a una rimozione totale della sua presenza. Siamo nell’era dei jet allora che fare? Continuare a fare figli e chiedere aiuto. Succede anche con gli anziani. Ho mio padre malato e non riesco ad accudirlo. Non siamo capaci di occuparci dei nostri cari.

La signora di Lecco e sua figlia sono due vittime di questa società». L’esperta di pubbliche relazioni Tiziana Rocca a poche ore dal parto già preparava un evento: «Risolvo portandoli sempre con me e mi aiuta l’essere molto apprensiva e con più figli sei sempre sull’allerta. Io mi faccio aiutare, le donne non devono aver paura di chiedere aiuto». E c’è chi per i figli rinuncia anche al lavoro come Ambra Angiolini che con loro gioca, vede la tv e non fa spot di merendine perché a loro non le darebbe mai.
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