Le sorelline che moriranno a 12 anni

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aston villa
00martedì 7 luglio 2009 07:54
Ashleigh e Alisha non di­venteranno mai grandi. Hanno sei e tre an­ni e difficilmente ne compiranno dodici. Soffrono di una rarissima forma del mor­bo di Batten, disturbo genetico che blocca la funzione metabolica del cervello, con­dannando chi ne è affetto a una regressio­ne inesorabile. I bambini smettono di cam­minare, di parlare, di alimentarsi autono­mamente. La vista cala e poi scompare. E la morte arriva prima dell’adolescenza. Un destino che la madre delle due bimbe, Jay­ne Lennon, 35 anni di Lancaster, Inghilter­ra occidentale, fatica ad accettare. Dopo aver sondato tutte le possibili vie mediche senza risultato, ha accettato che le sue bambine posassero per un servizio foto­grafico. Le immagini sono poi state diffu­se in Internet grazie a un sito che veicola storie nel mondo. E delle due bimbe han­no già parlato siti e giornali inglesi, croati, romeni, turchi, vietnamiti, indiani e di molti altri Paesi. Il sogno è che qualcuno, da qualche parte nel pianeta, abbia da of­frirle almeno una speranza a cui aggrap­parsi.

Le sorelline Lennon sono nate sanissi­me e oggi appaiono bionde, paffute e vi­spe. Ashleigh, la più grande, per quattro anni non ha accusato alcun fastidio. Poi, all’asilo, i primi sintomi: «Sembravano at­tacchi di epilessia - ha raccontato al Dai­ly Mail Jayne Lennon -. In un primo mo­mento pensai che non c’era molto da pre­occuparsi. Ma le convulsioni sono aumen­tate, diventando sempre più frequenti. Lessi su Internet della malattia di Batten, e in effetti i sintomi c’erano tutti, ma crede­vo impossibile che le fosse capitato un ma­le così raro». La bimba ha prima perso l’uso delle gambe, poi della parola, ora co­mincia ad accusare i primi problemi alla vista che per i medici perderà del tutto nel giro di qualche anno. A novembre un test ha cancellato anche il futuro della più piccola. Aveva tre possi­bilità su quattro di scampare all’errore ge­netico. Purtroppo le è andata male. I sinto­mi non si sono ancora manifestati, e per il momento Alisha cammina e parla normal­mente. Ma presto entrerà in azione anche per lei il congegno della malattia che fa gi­rare a ritroso l’orologio della crescita. «Ti spacca il cuore assistere al lento peggiora­mento di Ashleigh - ha aggiunto la ma­dre - sapendo che presto anche Alisha su­birà la stessa sorte».

Il modo migliore per affrontare la disperazione è fare un passo alla volta. La donna ha quindi iscritto le due figlie a una scuola speciale, in cui rie­scono ad esprimersi e a giocare ignorando ansie e paure del domani. Insieme alla pri­mogenita Lucy, graziata dalla malattia, la mamma si dedica giorno e notte alle due piccine di casa. «Ricordo il giorno in cui il dottore mi disse che poteva trattarsi di questa rarissima forma di disturbo geneti­co - aggiunge Jayne - e che Ashleigh sa­rebbe morta dopo un mare di sofferenze. Per me fu uno shock devastante». Per il morbo di Batten non esistono cu­re efficaci. «Il nome tecnico è ceroidolipo­fuscinosi neuronale - spiega Maria Gra­zia Roncarolo, che dirige l’unità di ricerca clinica pediatrica del San Raffaele di Mila­no - si presenta sotto otto diverse forme, differenti per sintomatologia ma ugual­mente mortali».

In Italia si contano poche decine di casi, un centinaio nel mondo. Per tutti le possibilità di guarigione sono praticamente inesistenti. Quattro anni fa, l’Oregon Health and Science University di Portland, negli Stati Uniti, ha avviato la sperimentazione di una terapia basata sul trapianto di cellule staminali nel cervello. Il trattamento, quanto meno, non ha pro­dotto effetti collaterali. Ma neppure ha da­to segni di miglioramento; la soluzione è ancora lontana. I tempi della scienza sono insomma len­ti e alla signora Lennon non resta che aspettare. Da quando ha saputo che il de­stino delle sue adorate bambine è già scrit­to viene seguita dagli psicologi di un’asso­ciazione, la Rainbow trust, che aiuta le fa­miglie di bimbi condannati a malattie ter­minali: «È davvero difficile andare avanti ma almeno mi è di conforto vedere le mie figlie felici, non sanno ancora cosa il futu­ro riserva loro».

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