Il bravo Admin equidistante...o quasi

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aston villa
00sabato 20 marzo 2010 20:51
«Un milione di persone in piazza» per chiedere «il diritto al voto e a non essere spiati quando si parla al telefono», contro una magistratura che agisce a «orologeria a ridosso di ogni elezione» e contro una «sinistra che sa solo odiare e a cui manca del tutto il senso dello Stato».

Ed è per questo motivo che le prossime elezioni «saranno ancora una volta una scelta di campo tra il popolo dell’amore e la sinistra che sa solo odiare e calunniare».

Silvio Berlusconi sale sul palco di San Giovanni poco dopo le 17, quando i due cortei del Circo Massimo e di Colli Albani non sono ancora del tutto confluiti nella grande piazza romana. E ripete le parole d’ordine delle ultime settimane: «Siamo le donne e gli uomini che amano la libertà e che vogliono restare liberi», esordisce. «Non andiamo quasi mai in piazza - sottolinea - ma... quanno ce vò, ce vò».

Il premier ricorre al manifesto della discesa in campo del ’94 per dire che «così come allora anche oggi quelle parole hanno un senso, anzi probabilmente ancora di più, perchè la sinistra non è mai cambiata, ma si è ammanettata al peggior giustzialismo. I loro alleati - dice alludendo a Di Pietro - sono perfino peggio di loro».

Ed è per questo che mentre una «sinistra democratica «avrebbe dovuto essere la prima a chiedere elezioni regolari» dopo il caos delle liste, «l’opposizione che ci troviamo di fronte non ha alcun senso dello Stato». «Se noi fossimo stati al loro posto avremmo fatto certamente così».

Il premier ripete l’artificio retorico delle domande al pubblico, chiede alla folla se voglia uno «stato di polizia tributaria e le intercettazioni su tutto e tutti e gli extracomunitari alle porte». Il popolo di destra risponde all’unisono “no”. Poi riparte a testa bassa contro la «magistratura di sinistra», che ha inventato una nuova tangentopoli che non c’è e con la complicità dell’opposizione ha tentato di distruggere il miracolo compiuto in Abruzzo, «mentre Bertolaso e suoi collaboratori sono persone intellettualmente e moralmente oneste».

«Vinceremo comunque anche nel Lazio - continua Berlusconi - e comunque una volta archiviata la campagna elettorale il governo affronterà il capitolo delle riforme istituzionali: elezione diretta del premier o del capo dello Stato, riduzione del numero dei parlamentari e federalismo. Ma anche riforma della giustizia penale che sarà all’attenzione delle Camere subito dopo il voto. Non solo, aggiunge: «Vogliamo anche vincere il cancro, un male che riguarda quasi 2 milioni dei nostri concittadini».

Berlusconi sulle le note del ’Va pensierò, invita sul podio Umberto Bossi, «l’alleato fedele e l’amico fraterno», «uno del popolo non uno che frequenta i salotti chic». Il senatur ricambia con la stessa moneta: «Anche lui è uno del popolo. Ma io sono uno dei pochi che non ha mai preso una lira da lui.», aggiunge ironico. Infine il premier convoca sul palco i 13 governatori che correranno alle prossime regionali, li chiama alle armi, li battezza volontari e missionari «della libertà e dell’amore».

E in una sorta di rito religioso mette in mano a ciascun candidato un foglietto che i 13 leggeranno in coro, quasi come una sorta di impegno-preghiera. La folla che ha animato i due cortei si disperde. Cortei colorati e spesso provocatori: dai tarocchi con Di Pietro “Il matto” e Bonino “La Morte”, fino al Popolo della Vita che aggiunge al Quarto Stato di Pellizza di Volpedo, carrozzine e mamme incinte per dire ’no all’aborto e all’eutanasia.

Infine i numeri attesi dal Pdl sembrano essere raggiunti, almeno a sentire gli organizzatori: «Siamo abbondantemente oltre un milione», annuncerà dal palco il coordinatore del Pdl Denis Verdini.
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