DOMANI ITALIA - ARGENTINA A TORINO
Tifa River Plate, vive a Parigi e conserva nella casa di Buenos Aires una maglia del Toro, numero dieci: «Non un numero qualsiasi, è quello che il mondo insegue». La maglia è dello zio, Patricio Hernandez, calciatore passato di qui all’inizio degli Anni Ottanta, il numero è del nipote. Juan Martin Hernandez, apertura dell’Argentina di rugby che domani gioca con l’Italia in un test match capace di riempire l’Olimpico di Torino.
Correrà sul campo che ha reso celebre suo zio in Italia. Che effetto fa?
«Mi emoziona molto. Purtroppo non abbiamo avuto tempo di parlare della città, ma ho visto diverse foto e ascoltato racconti. Mio zio è stato un educatore e un maestro. Credo nella famiglia, nella tradizione, nei più vecchi che insegnano ai giovani. Io ho scelto il rugby, lui giocava a calcio ma qui non si tratta di tecnica, parlo di serietà. Ho ereditato da lui un modo di affrontare lo sport, l’orgoglio nell’indossare una maglia».
Che significa per lei la maglia dei Pumas?
«Fierezza, un passato che ti porti addosso. La necessità di onorare chi c’è stato prima di te. È un affare delicato, non bisognerebbe neanche parlarne».
Numero dieci, come lo zio Pato, come Maradona.
«Come ogni uomo che pesa nello sport, un onore anche se io di numeri ne ho girati parecchi e all’inizio non ero contento. Cambiare ruolo è faticoso, quando sei giovane lo fai e ti infastidisce però oggi che sono apertura sono felice di aver avuto altre esperienze. Sul campo, mi sento padrone dello spazio e molto tranquillo, preparato».
L’hanno appena nominata miglior giocatore di Francia, titolo che prima di lei uno straniero non ha mai vinto, che ha fatto a Parigi per meritare tanto?
«Ho dato quel che avevo e questo riconoscimento significa che c’era un buon motivo per lasciare i miei amici e i miei parenti a Buenos Aires e venire in Europa da solo. Quando non mi alleno passeggio per Parigi e guardo tutti quegli angoli meravigliosi. Si respira la storia. Devo dire grazie a questa città perché l’inizio è stato difficile. Sono timido e introverso e emigrare mette paura».
Introverso ma adorato, è considerato un bel tenebroso, un uomo di successo.
«Fa parte del gioco, come i calendari in pose statuarie che facciamo per lo Stade Français, la squadra dove gioco. Ma io non mi metterei mai nudo come il mio compagno Parisse. I pantaloni voglio tenerli».
Che le ha detto Parisse dell’Italia?
«Abbiamo scherzato, sono tutti grossi gli azzurri così glielo ho fatto notare. In questi ultimi anni hanno aggiunto tecnica e stanno costruendo l’orgoglio di cui parlavo, poi per me la partita più importante è sempre quella che arriva. L’Italia è al centro dei miei pensieri».
Per lei il rugby è fisico o tattica?
«Per me è istinto, ma è il mio modo di vederla. Il Sud Africa dei Mondiali 2007 è la squadra più forte che abbia mai affrontato e per quella formazione il rugby era pazienza. La capacità di occupare il campo e aspettare, di andare sempre avanti. Perfetti. Io sono più passionale, è il sangue argentino».
Come vede Maradona allenatore della nazionale di calcio?
«Era quello che serviva, sa cosa vuol dire soffrire per la patria. Non so se tutte le stelle che ci sono oggi hanno idea di cosa significhi».
Non è preoccupato per il suo carattere?
«Al contrario, io spero che sia proprio lui, aggressivo ed esigente ed esagerato anche. È l’Argentina, da troppi anni manca lo spirito giusto, i valori della nostra bandiera, il bisogno di dimostrare chi siamo. Quando c’era lui si sentiva quella spinta, quindi è la persona perfetta per svegliare le nuove generazioni. Sono ansioso di vedere la squadra trasformata. Agli undici da mandare in campo può pensarci anche Bilardo, Maradona ha altro da fare».
Ha un senso della patria molto radicato. Che pensa di Cristina Kirchner, la prima donna presidente dell’Argentina?
«Dovrà meritarsi il rispetto, come chiunque. Veniamo da anni difficili, la crisi economica che ora vivono tutti noi l’abbiamo sperimentata prima e in più in Argentina c’è sempre un partito contro, gente che critica per mestiere: è una situazione complicata. Io non mi sento politicamente schierato però pretendo da chi governa un attenzione reale. Ci vuole tempo per capire e non credo che essere uomo o donna faccia differenza. Ci sono troppi problemi».