60 ANNI FA SE NE ANDAVA IL GRANDE TORINO

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aston villa
00domenica 3 maggio 2009 14:52
Sono del 62'.

Quando abbiamo vinto l'iultimo scudetto avevo 14 anni,ricordo quella mitica formazione,ricordo anche qualche giocatore che c'era prima,Agroppi,Puja,Bui,Toschi,Carelli,Pallavicini e altri.

Quando la Farfalla mori' avevo 5 ani e non ho ricordi di lui.

Gli Eroi sono volati in paradiso 13 anni prima che nascessi.

Posso rifarmi ai racconti di chi c'era,a quello che mi raccontava mio padre,ai filmati dell'epoca.

Quei filmati sono belli davvero,vedevi dei ragazzi sorridenti prima di una partita,non perennemente incazzati come quelli di oggi,ragazzi semplici con le loro divise attillate,amici veri dentro e fuori dal campo.

Il Grande Torino con Coppi e Bartali sono stati l'immagine di un Italia che si rialzava dalle miserie della guerra e dal ventennio fascista.

Coppi era anche tifoso Granata e amico di Capitan Valentino.

Quei ragazzi erano persone semplici,nessuno aveva un auto,guadagnavano il giusto per vivere decentemente,andavano in allenamento in bicicletta o in tram fermandosi a parlare coi tifosi nell'antistadio del Filadelfia.

Il Tempio.

Capitan Valentino...come Coppi manteneva 2 famiglie,la sua e..l'amante in quegli anni l'adulterio non era proprio ben visto,mi pare che fosse ancora un reato o qualcosa di simile.

A un certo punto non ce la faceva piu' coi soldi e lo disse al Presidente Novo che non nuotava nell'oro,c'erano altre squadre che lo volevano proponendogli contratti molto piu' richi.

Novo raduno' la squadra e parlo' del problema,i giocatori rinunciarono ognuno a qualche soldo per poter fare in modo che il Capitano guadagnasse di piu'.

Ve lo immaginate nel calcio di oggi?

Vedo quelle immagini e vedo giocatori straordinari,con fisici possenti allenati da un ungherese matto che anticipo' di mezzo secolo cosa voleva dire una vera preparazione atletica.

Un blocco di amci che giocavano uno per l'altro.

Anche le altre squadra avevano campioni,l'altra squadra cittadina aveva Boniperti che per anni dopo la tragedia quando parlava delgi Eroi aveva i lucciconi agli occhi.

Se non c'era la maledetta guerra avemo altri 4/5 scudetti in piu'.

Non c'e' mai stata una squadra cosi' e non ci sara' mai piu'.

Un paio avevano un bar in centro,un altro una merceria....erano parte della citta',li trovavi in giro per il centro come persone normali,erano altri tempi certo ma loro erano persone speciali.

Li chiamavano ovunque nel mondo quando c'era da inaugurare uno stadio o da festeggiare un campione che smetteva,andarono pure in Brasile e vinsero pure la'.

Anche quella maledetta volta a Lisbona.....

Domani sono 60 anni che se ne sono andati.

Forse noi granata siamo troppo legati al passato,ma come fai a non esserlo con un passato cosi'?

Loro...poi Meroni...Ferrini....

Solo pensare che Rosina,domani 4 maggio, leggera' quei nomi provoca un giramento di coglioni devastante....Rosina.... [SM=x1495893]

Speriamo che si presentino,questi che mettono la maglia ora,con l'umilta' e la riverenza di chi sa di non meritarsi di essere di fronte a quella lapide.

Buon Anniversario Grande Torino. [SM=x1543389]



aston villa
00lunedì 4 maggio 2009 09:05
Fox Molder
00lunedì 4 maggio 2009 17:43
Re:
A mio padre non è mai fregato niente del calcio....ma ogni tanto ricorda di una squadra che giocava in maniera incredibile.....del grande Torino, che un fato bastardo e crudele ha voluto annientare d'un botto.
E' una di quelle occasioni in cui praticamente tutti, tifosi e non, di qualsiasi squadra, si trovano concordi e uuniti nel ricordo di qualcosa di veramente bello che non c'è più

Fox
El Tr3n
00lunedì 4 maggio 2009 18:10
Onore al Grande Toro.

A volte la vita è proprio infame.

aston villa
00lunedì 4 maggio 2009 21:26
Lo avevo detto o no che scoppiavano casini?

Dopo la lettura del nome degli Eroi fuori dalla basilica Rosina e' stato spintonato da dei tifosi ed e' nata una colluttazione.

Non era certo il momento ma la gente e' esasperata di questo frequentatore di night analfabeta.

La societa' si e' dimostrata ancora una volta debole,sapeva del problema....

Cazzo fai leggere i nomi al Camola,a Fontana a Stellone a un ragazzo delle giovanili ma non a Rosina.... [SM=x1543067]
aston villa
00lunedì 4 maggio 2009 21:38
Un crepuscolo durato tutto il giorno, una malinconia da morire. Il cielo si sfaldava in nebbia, e la nebbia cancellava Superga. Ho sentito un rombo, paurosamente vicino, un colpo, un terremoto. Poi il silenzio. E una voce, è caduto un aereo...». Così disse il cappellano della Basilica quel 4 maggio del 1949, un mercoledì qualsiasi di una giornata maledetta, quando l’apocalisse si era abbattuta su Torino e la più bella squadra italiana di calcio forse mai esistita in pochi secondi era diventata leggenda.

Sessant’anni dopo, il Grande Torino resta una delle realtà più indelebili dello sport italiano. Il tempo non riesce a scalfire l’immagine e ad annacquare la storia. Quel Torino rappresentava la speranza di una nazione che usciva prostrata da una terribile guerra, la voglia di alzare la testa, la straordinaria capacità di battersi e di vincere. Giulio Andreotti, l’uomo politico che, giovanissimo ma già in carriera, come sottosegretario alla presidenza del Consiglio venne incaricato di rappresentare il Governo ai funerali, ricorda con intensità quei giorni: «Mi toccò tenere il discorso ufficiale ai funerali e non mi uscivano neanche le parole, ero bloccato come uno scolaretto. Non ho mai più captato nella mia lunga vita, che mi ha consentito o costretto a essere testimone di molti fatti funesti nel mondo, una intensità così violenta, palpabile del dolore collettivo. Un senso da tragedia greca, mezzo milione di persone sbigottite e incredule che assisteva alla sfilata delle bare senza distinzione di tifo o di fede».

Lo sport era il carburante privilegiato per innescare la fiducia agli italiani, in quel dopoguerra. I prezzi crescevano vertiginosamente, dal ‘46 al ‘49 il costo del pane era triplicato, da 45 a 120 lire al chilo, idem i quotidiani, da 5 lire a 15, lavoro se ne trovava ma bisognava accontentarsi, le macerie erano silenziosi testimoni di una lunga strada da percorrere. Ma, appunto, lo sport tirava. Grazie all’impegno di Churchill l’Italia non aveva subito la sorte di Germania e Giappone ed era stata ammessa alle Olimpiadi di Londra ‘48, dove il gigante veneto del disco Adolfo Consolini aveva dato vigore alla pattuglia azzurra. E Gino Bartali vincendo il Tour aveva incendiato di passione il cuore dei tifosi. Ma era soprattutto il Torino a fare da leader. Lo sport di squadra dava più senso alla rinascita, l’armata invincibile che batteva tutti i record esaltava le platee e non solo. Non c’era ancora la televisione a portare nelle case gli eroi del calcio, ma il contagio era collettivo.

La tragedia di Superga agì come un interruttore che spegne improvvisamente le luci del palcoscenico. Si poteva applaudire, godere, fare sport dimenticando quel fardello che era caduto sulle spalle? Fu il Giro d’Italia la prima manifestazione a rompere quell’atmosfera. Partì da Palermo il 21 maggio. La festa che doveva legare i tifosi della penisola in un abbraccio ideale, perché il ciclismo è un cemento straordinario, divenne un lento pellegrinaggio che cercava di passare in punta di piedi, per non disturbare. Lo ricorda un testimone oculare, Giancarlo Astrua, giovave corridore di Graglia Biellese, allora 22 anni. «Ero un tifoso del Toro, conoscevo a memoria tutte le formazioni che andavano in campo, avevo anche assistito a qualche partita nel mitico Filadelfia, Mazzola mi aveva gratificato di un sorriso e una stretta di mano, quei giocatori non erano divi inavvicinabili come oggi, erano uguali a noi e parte di noi. Quando avvenne la tragedia stavo correndo nel Lazio, non potei tornare per i funerali. Ma per me fu un specie di funerale il viaggio per andare alla partenza del Giro, a Palermo». Un trasferimento del tutto speciale, come usava allora per chi non si chiamava Coppi o Bartali. Astrua dal Piemonte si era avviato con grande anticipo verso la Sicilia alternando lunghi chilometri in bici a tratti in auto, l’avvicinamento serviva anche per allenarsi. Gli fu senz’altro d’aiuto quel modo di raggiungere Palermo, perché alla fine fu quinto, con la maglia bianca sulle spalle, l’insegna del miglior giovane. «La gente per strada vedeva la nostra macchina targata Torino ma non mi chiedeva chi ero e dove andavo. Mi chiedeva della città, del funerale, dell’atmosfera, se avevo conosciuto quei miti, mi diceva di portare poi a nome loro un fiore sulle tombe...».

E poi, in corsa? «In gruppo non si parlava quasi, ci vollero giorni per uscire da quella cappa. Fausto Coppi, che già era riservato di suo, non volle mai affrontare l’argomento, scansava e se ne andava se qualcuno nominava Mazzola o il Toro. Sapevamo che anche lui aveva regalato la sua simpatia a quella squadra, il suo dolore era sottile ma visibile». Chissà se Coppi era cosciente del fatto, in quelle prime tappe del Giro, che le sue pedalate sarebbero state un venticello rigenerante per il mondo dello sport schiacciato da quel macigno. Il 10 giugno si costruì un’impresa da leggenda dominando la Cuneo-Pinerolo con una fuga dalla partenza all’arrivo, staccando Bartali, secondo, di quasi 12 minuti. La ripeteranno quest’anno quella tappa, pur senza i mitici colli, proprio in omaggio a Coppi e a un’impresa che riuscì a far ripartire l’entusiasmo.

«Sì, - dice Astrua - quel pomeriggio a Pinerolo e in tutta Italia prevalse la gioia. La radiocronaca di Mario Ferretti e dell’uomo solo al comando, come mi raccontò la mia famiglia visto che io in corsa avevo le mie gatte da pelare, aveva messo i brividi nella schiena degli italiani. Ricordo che all’arrivo a Pinerolo, al velodromo, sventolavano degli stendardi granata. C’era un nesso fra le due cose, come c’era stato sempre durante la corsa, ma questa volta erano stendardi festosi. Di lassù certamente Mazzola e gli altri applaudivano».

Oggi Astrua, ottant’anni vigorosi, presidia ancora il suo negozio di articoli sportivi di fronte allo stadio Olimpico con le vetrine colorate di maglie granata. «Un mio modo per ricordare».

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