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"Cuba Libre" prigioniero all'Avana

Ultimo Aggiornamento: 10/04/2010 14:45
10/04/2010 14:45
 
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YOANI SANCHEZ

Proprio ieri, alla vigilia della presentazione in Cile di una selezione di miei testi intitolata Cuba Libre, mi è giunta un’informativa dalla Dogana Generale della Repubblica. In quel documento mi confermavano il sequestro di dieci esemplari del mio libro inviati tramite DHL.
Le brevi e antiquate parole della burocrazia spiegavano:

Eseguendo l’ispezione fisica della spedizione è stata individuata documentazione il cui contenuto danneggia gli interessi generali della nazione, per questo motivo si procede al sequestro secondo quanto stabilito dalla legislazione vigente.

Tento di immaginare la scena degli “specialisti” intenti a decidere se permettere o meno al libro di varcare le frontiere di Cuba per finire nelle mie mani. Potevano esserci tra le sue pagine immagini oscene capaci di offendere la morale? Di sicuro non si trovavano tra le foto dei cartelloni infiammati di parole d’ordine politiche, tra le stanche interiora di un’automobile abbandonata e tra le bandiere cubane esibite in un mercato dove la moneta nazionale non vale niente. L’ultima considerazione può sembrare oscena, ma non è colpa mia. Coloro che hanno analizzato le frasi di Cuba Libre saranno stati gelosi professori di grammatica a caccia di un errore o di un tempo verbale mal coniugato? Si trattava forse di analisti militari, che cercavano di individuare codici occulti tra i paragrafi delle mie cronache, rivelazioni economiche o documenti segreti della Sicurezza di Stato? Non hanno trovato niente di tutto questo e neppure la ricetta del guarapo, la quasi estinta bibita nazionale che si ottiene spremendo la canna da zucchero.

Mi accontento di fantasticare che alcuni uomini in uniforme con più disciplina che letture hanno impedito alla versione spagnola dei miei testi di circolare tra centinaia di amici. Probabilmente erano già stati avvisati da chi ascolta costantemente le mie conversazioni telefoniche; possono averli avvertiti anche senza aver letto il contenuto. Se tre anni di pubblicazioni su Internet fossero serviti soltanto per far arrivare la mia voce a questi torvi censori, sarebbe già un motivo sufficiente per essere soddisfatta. Qualcosa di me resterà in loro, così come la loro repressiva presenza ha segnato le mie cronache, le ha spinte a lanciarsi verso la libertà.

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