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Una gioventù troppo vecchia

Ultimo Aggiornamento: 08/04/2010 14:20
08/04/2010 14:20
 
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YOANI SANCHEZ

Si è conclusa all’Avana la riunione più importante per l’Unione dei Giovani Comunisti, ma il suo parente maggiore, il Partito, ancora non rende nota la data in cui celebrerà il sesto congresso. All’inizio del 2009, Raúl Castro ha affermato che avrebbe convocato - nel più breve tempo possibile - una conferenza nazionale del PCC, ma oggi come oggi nessuno è in grado di sapere quando avrà luogo.

L’Unione dei Giovani Comunisti si è anticipata, riunendosi nel Palazzo delle Convenzioni per discutere temi che avrebbero potuto produrre polemiche fruttifere se l’incontro si fosse svolto in una cornice di effettivo rispetto. Sotto il motto “Tutto per la Rivoluzione”, centinaia di volti giovanili hanno visto il tavolo presidenziale pieno di funzionari che da tempo hanno superato i sessant’anni. La vecchia generazione non si è presentata alla riunione per dire ai più giovani: “il paese è anche vostro, adesso tocca a voi decidere il futuro”, ma soltanto per esortarli al sacrificio, rimproverarli per la scarsa combattività e per strappare patti di continuità e di eterna fedeltà. Sono gli atteggiamenti a far crescere un partito politico in relazione alla sua base, ma nel caso cubano si tratta dell’unica organizzazione giovanile permessa dalla legge. Stupisce il fatto che all’età in cui prendiamo gli atteggiamenti più vari e difendiamo le bandiere più incredibili, ai nostri giovani è concessa soltanto la militanza nel partito con la tessera rossa. Molti ragazzi, in circostanze più libere, si iscriverebbero a un gruppo ecologista, si unirebbero a un picchetto di attivisti sindacali, oppure sfilerebbero per pretendere la fine del Servizio Militare obbligatorio.

Coloro che adesso fanno parte dell’Unione dei Giovani Comunisti sono nati in pieno Periodo Speciale, non hanno mai trovato giocattoli nei negozi che vendono prodotti razionati e hanno bevuto latte - legalmente - soltanto fino a sette anni. Sono cresciuti grazie al mercato nero e hanno potuto calzare scarpe perché i genitori hanno sottratto risorse allo Stato o hanno chiesto aiuto per comprarle a un parente esiliato. Si tratta di una generazione cresciuta in mezzo all’apartheid turistico che impediva ai cubani di entrare negli hotel e di accedere a certi servizi; figli allevati nelle scuole con vuote parole d’ordine e nelle famiglie con parole di disgusto. Malgrado il loro impegno di lealtà, sospetto che pregustino la vendetta, quel momento in cui romperanno tutte le promesse fatte ai più vecchi.

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