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Visto che non lo fa piu' Aston...

Ultimo Aggiornamento: 03/04/2010 14:43
02/04/2010 10:44
 
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......Ci penso io

LIBERAZIONE

Questa non è la cronaca di una moglie che riesce a fuggire da un marito prevaricatore né la storia di un adolescente che scappa dai genitori autoritari. Il titolo si riferisce a un altro processo di emancipazione, a quel permesso - fastidioso e feudale - che devono chiedere i dottori, le infermiere e i farmacisti per viaggiare fuori da questa Isola. Sotto il significativo nome di “liberazione”, esiste un procedimento obbligatorio che i lavoratori della Salute Pubblica devono portare a termine sia per ottenere un permesso di uscita temporaneo che definitivo. Nel dossier del possibile viaggiatore viene menzionato se è proprietario di casa e auto, perché lo Stato confischerà questi beni se il cittadino non farà ritorno prima dello scadere dei fatidici 11 mesi. La pratica passa per numerosi livelli di autorizzazione che possono procrastinare la decisione per un anno o per un decennio. Molti non ricevono mai risposta. Mario visitava i pazienti in un ambulatorio specializzato e cominciarono a guardarlo come un disertore quando espresse il desiderio di ricongiungersi con la famiglia che viveva all’altro lato del mare. Come punizione immediata venne spedito a ricoprire un posto di medico generale in un corpo di guardia piuttosto lontano da casa sua.

Ogni giorno gli facevano pesare che quel titolo appeso a una parete della sua sala era stato elargito da quella Rivoluzione che stava tradendo. Masticando amaro sopportò quattro anni tramando inganni e indagando su quel salvacondotto - per lasciare il paese - che il ministro del suo settore ancora non aveva firmato. “Abbiamo molti casi, non siamo abbastanza” ripeteva la segretaria e sua moglie esiliata scoppiava a piangere al telefono, quando lui glielo raccontava. I suoi figli, nel frattempo, crescevano senza padre in qualche luogo lontano. Sentendosi impotente, Mario arrivò a rimproverare sua madre di averlo spinto a studiare medicina. “Perché non mi hai avvertito?”, le gridò una sera in cui non ne poteva più di quel camice bianco che si era trasformato nella sua catena.

Quando gli permisero di salire su un aereo, al centro della sua testa si notava una calvizie e le sue mani erano in preda a un tic nervoso. In un aeroporto lontano non dettero il benvenuto al professionista ortopedico che era stato anni prima, ma a un uomo deciso a non mettere più piede in un ospedale. L’angoscioso processo di “liberazione” gli aveva tolto il desiderio di curare un ginocchio e di rimettere in sesto una caviglia; non smetteva di pensare che quella professione lo aveva separato dalla sua famiglia.
03/04/2010 14:43
 
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Re:
Vincente Garcia, 02/04/2010 10.44:

......Ci penso io

LIBERAZIONE

Questa non è la cronaca di una moglie che riesce a fuggire da un marito prevaricatore né la storia di un adolescente che scappa dai genitori autoritari. Il titolo si riferisce a un altro processo di emancipazione, a quel permesso - fastidioso e feudale - che devono chiedere i dottori, le infermiere e i farmacisti per viaggiare fuori da questa Isola. Sotto il significativo nome di “liberazione”, esiste un procedimento obbligatorio che i lavoratori della Salute Pubblica devono portare a termine sia per ottenere un permesso di uscita temporaneo che definitivo. Nel dossier del possibile viaggiatore viene menzionato se è proprietario di casa e auto, perché lo Stato confischerà questi beni se il cittadino non farà ritorno prima dello scadere dei fatidici 11 mesi. La pratica passa per numerosi livelli di autorizzazione che possono procrastinare la decisione per un anno o per un decennio. Molti non ricevono mai risposta. Mario visitava i pazienti in un ambulatorio specializzato e cominciarono a guardarlo come un disertore quando espresse il desiderio di ricongiungersi con la famiglia che viveva all’altro lato del mare. Come punizione immediata venne spedito a ricoprire un posto di medico generale in un corpo di guardia piuttosto lontano da casa sua.

Ogni giorno gli facevano pesare che quel titolo appeso a una parete della sua sala era stato elargito da quella Rivoluzione che stava tradendo. Masticando amaro sopportò quattro anni tramando inganni e indagando su quel salvacondotto - per lasciare il paese - che il ministro del suo settore ancora non aveva firmato. “Abbiamo molti casi, non siamo abbastanza” ripeteva la segretaria e sua moglie esiliata scoppiava a piangere al telefono, quando lui glielo raccontava. I suoi figli, nel frattempo, crescevano senza padre in qualche luogo lontano. Sentendosi impotente, Mario arrivò a rimproverare sua madre di averlo spinto a studiare medicina. “Perché non mi hai avvertito?”, le gridò una sera in cui non ne poteva più di quel camice bianco che si era trasformato nella sua catena.

Quando gli permisero di salire su un aereo, al centro della sua testa si notava una calvizie e le sue mani erano in preda a un tic nervoso. In un aeroporto lontano non dettero il benvenuto al professionista ortopedico che era stato anni prima, ma a un uomo deciso a non mettere più piede in un ospedale. L’angoscioso processo di “liberazione” gli aveva tolto il desiderio di curare un ginocchio e di rimettere in sesto una caviglia; non smetteva di pensare che quella professione lo aveva separato dalla sua famiglia.



E' noto che per chi svolge certe mansioni,non è possibile lasciare l'Isla,se non dopo diversi anni di "attesa".
Quindi, mi sembra che la separazione dalla famiglia non sia totalmente imputabile alla professione svolta,ma dalla moglie che se n'è andata consapevole del fatto che la famiglia sarebbe rimasta divisa.
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