00 17/06/2010 17:35
Dopo un rifiuto, la maggior parte di coloro che sollecitano un permesso di viaggio desistono dal continuare a chiederlo. Sono davvero pochi coloro che continuano a insistere quando hanno già sentito più di tre volte la scarna frase: “lei non è autorizzato a viaggiare”. Soltanto un pugno di testardi - tra i quali mi includo - torna al Dipartimento di Immigrazione e Affari Esteri per reclamare la così detta carta bianca, se è stata già negata in quattro occasioni. Anche se a ogni nuova richiesta sembrerebbe che le possibilità si facciano sempre più remote, voglio far capire in modo chiaro che non vengo reclusa su questa Isola perché non ho seguito tutte le strade legali. Seguendo questa filosofia dell’impossibile mi sono lanciata nell’impresa di aprire un’altra pratica preso gli uffici del DIE situato nel municipio Plaza, questa volta per andare nella città di Jequié-Bahía in Brasile. A luglio si terrà un festival di documentari durante il quale un giovane regista (http://www.dadogalvao.org/) presenterà un corto sui blogger cubani; se me lo perderò sarà perché avrò ricevuto il sesto “no” in appena due anni. Come in tutte le precedenti pratiche, la carta d’invito è arrivata nei tempi, il mio passaporto è aggiornato e i miei precedenti penali si mantengono limpidi. In teoria possiedo tutti i requisiti richiesti per oltrepassare la frontiera nazionale, ma continuo a esprimere opinioni critiche e questo basta per trasformarmi in una tipologia speciale di delinquente.

Per questo viaggio ho deciso di bussare a tutte le possibili porte e ho persino inviato una lettera al presidente brasiliano Luis Inácio Lula da Silva. Visto che il governo del mio paese non ascolta le domande dei suoi cittadini, può darsi che sia più recettivo se a rivolgere una richiesta è uno statista straniero. I miei amici insinuano che mi sono trasformata in un “bene fondamentale” con una targhetta numerata sulle spalle, come certi mobili inventariati che appartengono alle istituzioni statali. Non resta che sorridere di fronte a simili barzellette e scrollarsi di dosso lo sconforto con un simpatico gioco di parole: “me ne vado, sì… me ne vado ad abituarmi a restare” (1).