Vince il team che...non c'era

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aston villa
00lunedì 30 marzo 2009 15:20
Sono di moda le macchine bianche. Ross Brawn ha azzeccato anche il colore, oltre ad aerodinamica, cambio, piloti, squadra, motore, sponsor. La scuderia a cui ha dato il proprio nome è la novità che spazza un decennio di certezze della Formula 1, di valori consolidati ed equilibri sacri.

Ferrari e McLaren, Ferrari e Renault, un pizzico di Bmw e Williams: questa è la storia recente della Formula 1. Ieri in Australia è cominciata la favola. «Datemi un pizzicotto», ha urlato via radio Jenson Button dopo aver tagliato il primo traguardo della stagione davanti al compagno di squadra Rubens Barrichello. Soltanto due squadre avevano centrato una doppietta all’esordio: l’Alfa Romeo in Inghilterra nel ’50 con Farina e Fagioli e la Mercedes in Francia nel ’54, protagonisti Fangio e Kling. Preistoria. Button ha 29 anni e la sua memoria storica non si spinge tanto indietro. «Tra me e Rubens mi piacerebbe una sfida tipo Senna e Prost nel 1988» dice. La McLaren ha piazzato Hamilton al terzo posto, la Ferrari è sparita: peggior inizio di stagione degli ultimi 17 anni.

C’era una volta la Honda F1 che spendeva tanto e non vinceva mai. La favola comincia a fine 2007, con l’arrivo di Ross Brawn, lo stratega che ha diretto i sette successi di Michael Schumacher. Chiede un anno di tempo e comincia a studiare i regolamenti: quelli del 2009. Mentre Ferrari e McLaren si giocano il Mondiale fino all’ultima curva, lui finge di partecipare al Mondiale. Va ai circuiti, schiera le monoposto in pista con risultati disastrosi e torna a casa a ragionare sul futuro. Ha beffato tutti in questo modo, persino la Honda che un mese fa, spaventata dalla crisi economica, ha deciso di tagliare il ramo secco della Formula 1 e gli ha svenduto uno stabilimento gioiello, con tecnologia e capitale umano di primissimo ordine. «Avevo adottato la stessa procedura nel ’93 alla Benetton - racconta Brawn -. Le regole sarebbero cambiate l’anno dopo, per cui decisi di sacrificare un campionato e di dedicarmi a quello successivo. Il risultato fu che un venditore di t-shirt divenne campione del mondo». Ora potrebbe diventarlo l’ingegnere (honoris causa), se non cederà prima il nome a Richard Branson, patron della Virgin e primo sponsor della nuova scuderia. Il segreto del successo? Gli avversari lo attribuiscono al diffusore d’aria posteriore, progettato secondo un’interpretazione forzata (o geniale, dipende dal punto di vista) del regolamento. Ferrari, Renault e Red Bull hanno presentato un ricorso che sarà discusso il 14 aprile a Parigi dalla Corte d’appello della Federazione, ma con scarse possibilità che sia accolto. Ai box e sulla griglia di partenza gli uomini della Brawn impediscono di fotografare i particolari della monoposto, schierandosi come body guard intorno a una star. Il risultato di ieri rimane sub iudice (in caso di condanna, il successo andrebbe a Hamilton) anche per Toyota e Williams. Ma non è la loro favola. In pista Jenson Button gioca al gatto con il topo: guadagna 5 secondi nei primi due giri e li mantiene fino all’ultimo ingresso della safety car. Avesse spinto, con ogni probabilità avrebbe doppiato chiunque.

Dai box lo telecomandava Brawn: guadagna mezzo secondo, rallenta un poco, bene così. Meglio non stravincere, altrimenti sai le polemiche. Meglio l’understatement, il basso profilo che fa simpatia, piuttosto che l’arroganza dei potenti. «Il Grande Orso parla pochissimo - dice Button del suo capo -. Durante gli ultimi giri e sul podio è stato proprio zitto. Comunque l’ho fatto felice e Rubens mi ha dato una mano», aggiunge per sottolineare subito le gerarchie interne. Il vincitore sostiene che è stata un’impresa complicata e racconta del sole basso che limitava la visibilità, della safety car che gli ha azzerato due volte il vantaggio, di un suo errore al pit stop (è entrato ai box in seconda e ha perso 5 secondi). Ma in questo modo non fa che confermare una superiorità schiacciante.

Barrichello ha corso una gara inguardabile: alla partenza ha inserito l’antistallo (dispositivo che mette il cambio in folle per evitare lo spegnimento del motore), poi ha innescato l’incidente alla prima curva e ha sportellato Raikkonen in sorpasso. E ci ha pure riso su: «La nostra macchina è proprio robusta». Nel finale il colpo di fortuna: Kubica e Vettel fanno autoscontro e si tolgono di mezzo. E’ il lieto fine. Rubinho sale sul podio dell’Albert Park, sorridente e secondo classificato come ai tempi della Ferrari e di Schumacher.

Nella sfida tra i normali, una sorprendente Red Bull (con i diffusori regolari e senza kers), un Hamilton caparbio (dall’ultimo al terzo posto) e una buona Bmw. Il Gp d’Australia è divertente e ricco di colpi di scena. Alle spalle di Button partono bene Vettel, Massa, Kubica e Raikkonen. Al traguardo non ne arriverà uno. E’ la giornata del fattore B: Brawn, Button, Barrichello. Poi Hamilton, Glock e Alonso. Infine la Cenerentola Toro Rosso dell’esordiente Buemi e di Bourdais (altre due B). Ma questa è un’altra favola.

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