Sempre piu' stressati

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aston villa
00mercoledì 9 dicembre 2009 23:25
Sempre più pressioni per mantenere vendite e profitti a un livello accettabile, paura di perdere l'impiego, la riduzione del personale con cui fare i conti quotidianamente e una competizione sempre più aggressiva da parte dei colleghi. Se a pagare il prezzo della crisi è soprattutto chi ha perduto il lavoro, anche chi è riuscito a mantenerlo non se la passa poi così bene.

Sì, perché con il persistere della crisi, con il tasso di disoccupazione che continua a crescere e la situazione delle aziende che non accenna a dare segnali positivi, lo stress sembra aumentare sempre di più lasciando pochissimi spazi di tranquillità a chi il lavoro vorrebbe riprendere a svolgerlo al meglio delle proprie possibilità.

In Italia i senza lavoro, secondo i dati Istat resi noti il primo dicembre, hanno superato i due milioni e il tasso di disoccupazione ha raggiunto l'8 per cento. Sono i valori più elevati dal novembre del 2004. In Europa la media è pari al 9,8 per cento. E anche negli Stati Uniti, seppure l'ultimo dato mostri un lievissimo miglioramento, siamo intorno al 10 per cento. In questo contesto, lo stress trova il migliore humus per alimentare se stesso. Non soprendere quindi che il 60 per cento dei lavoratori nel mondo confessi di vivere il proprio impiego con maggiore ansia rispetto all'anno scorso. I risultati sono quelli di un'indagine globale realizzata da Regus Group che ha coinvolto oltre 11 mila imprese in 15 nazioni. Dall'India alla Cina. Dalla Germania alla Francia.

La principale fonte d'ansia per molti è rappresentata dal timore di essere coinvolti in ulteriori tagli al personale. Ne fanno riferimento quattro americani su dieci e nel Regno Unito se ne preoccupano il 44 per cento. Lievemente minore la percentuale in altri paesi. In Cina è la causa prima della tensione per il 17,6 per cento e in Germania la citano il 16,4 per cento dei lavoratori.

La rilevazione di Eurobarometro, l'istituzione della Commisione europea che effettua rilevazioni dell'opinione pubblica degli Stati membri, sull'impatto della crisi descrive una situazione non certo migliore. Molti sono quelli che hanno avuto un'esperienza, diretta o indiretta con i "tagli". Il 36 per cento degli europei ha avuto negli ultimi mesi qualcuno della propria famiglia o delle proprie amicizie che è rimasto impigliato in ridimensionamenti aziendali. In Italia la cifra è pressoché uguale (33 per cento). E preoccupati di un possibile licenziamento sono circa il 40 per cento degli italiani, rispetto a una media continentale pari al 32 per cento. Con il 61 per cento degli intervistati che pensa che il peggio debba ancora arrivare.

Ma non si tratta solo del timore del licenziamento. Ci sono anche ragioni più sottili e persistenti che si insinuano nell'attività quotidiana forse persino con maggiore invasività. Tra queste, soprattutto il pressing dei responsabili d'area rispetto alla necessità di assicurare un livello di profitti o di vendite. Allo stesso tempo, diversi sono gli impiegati nel mondo che segnalano un crescente stress per colpa dell'assenza di un supporto amministrativo al proprio lavoro. E quelli che lamentano le eccessive richieste dei clienti. Infine ci sono quelli che, con percentuale compresa tra il 6,4 per cento dei francesi e il 17,4 per cento degli australiani, indicano come causa principale dell'ansia, forse quella che ogni giorno pesa di più, la riduzione del personale avvenuta nella propria azienda.
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