Raccontare la notizia… vivere la notizia

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aston villa
00sabato 13 marzo 2010 15:33
YOANI SANCHEZ

Raccontare ciò che fa male, scrivere su argomenti che ci toccano da vicino e fanno soffrire, va oltre l’esperienza giornalistica e diventa una testimonianza di vita. C’è una differenza enorme tra il narrare la storia di un uomo in sciopero della fame e l’azione di toccare le sue costole che escono fuori dalla gabbia toracica. Per questo motivo nessuna intervista può riprodurre gli occhi pieni di lacrime di Clara - la moglie di Guillermo Fariñas - mentre racconta che per la figlia il padre è malato di stomaco e per questo dimagrisce ogni giorno di più. Neppure un lungo reportage riuscirebbe a descrivere il terrore che incute la telecamera che - a cento metri dalla casa di questo abitante della provincia di Villa Clara - osserva e filma chi si avvicina al numero 615 A di Calle Alemán.

Accumulare periodi, compilare citazioni e mostrare registrazioni, non riesce a trasmettere gli odori del Pronto Soccorso dove ieri hanno condotto Fariñas. Mi faccio una colpa di essere arrivata tardi per chiedergli di tornare a mangiare e per cercare di persuaderlo a evitare che la sua salute soffrisse un danno irreversibile. Durante il viaggio ho elaborato alcune frasi per convincerlo a non arrivare fino alla fine, ma prima di entrare in città un sms mi ha confermato il suo ingresso in ospedale. Avrei voluto dirgli: “Hai già fatto molto, hai dato una mano a smascherarli” e invece ho dovuto pronunciare parole di consolazione per la famiglia, sedermi senza di lui in quella sala dell’umile quartiere La Chirusa.

Perché siamo arrivati sino a questo punto? Come hanno potuto chiudere ogni strada al dialogo, al dibattito, alla sana dissidenza e alla necessaria critica? Quando in un paese si verificano simili proteste a base di scioperi della fame, bisogna chiedersi se ai cittadini è stata lasciata un’altra strada per far capire il loro atteggiamento critico. Fariñas sa bene che non gli sarà mai concesso un minuto alla radio, che la sua opinione non verrà presa in considerazione durante una riunione del parlamento e che la sua voce non potrà levarsi, senza rischiare una punizione, in una pubblica piazza. Non ingerire alimenti è stato il solo sistema che ha trovato per mostrare la disperazione di vivere sotto un sistema che annovera il bavaglio e la maschera tra le sue “conquiste” più riuscite. Coco non può morire. Perché nel lungo corteo funebre dove sono diretti Orlando Zapata Tamayo, la nostra voce e la sovranità cittadina che da tempo è stata assassinata… non c’è posto per un altro morto.

Buenavista
00sabato 13 marzo 2010 20:56
Spero che non vada fino in fondo,Cuba non ha bisogno di altri martiri.
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