Orcobue....

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aston villa
00domenica 9 agosto 2009 08:05
Era al telefono con la fidanzata quando è stato stroncato da un infarto. Il capitano dell’Espanyol, in Italia per una serie di amichevoli, è morto di infarto nel ritiro di Coverciano, nella sua stanza. Il calciatore stava parlando con la compagna quando si è accasciato a terra, ed è stato trovato dai dai compagni informati dalla ragazza che, allarmata e preoccupata, li ha subito contattati. Entrati nella camera del compagno, per lui ormai non c’era più nulla da fare. L’amichevole prevista domani sera a Rimini tra il Bologna e l’Espanyol è stata immediatamente annullata.
rod.
00domenica 9 agosto 2009 11:20
Re:
aston villa, 09/08/2009 8.05:

Era al telefono con la fidanzata quando è stato stroncato da un infarto. Il capitano dell’Espanyol, in Italia per una serie di amichevoli, è morto di infarto nel ritiro di Coverciano, nella sua stanza. Il calciatore stava parlando con la compagna quando si è accasciato a terra, ed è stato trovato dai dai compagni informati dalla ragazza che, allarmata e preoccupata, li ha subito contattati. Entrati nella camera del compagno, per lui ormai non c’era più nulla da fare. L’amichevole prevista domani sera a Rimini tra il Bologna e l’Espanyol è stata immediatamente annullata.







....tacci sua, che mai gli avrà detto di così terrificante?
aston villa
00lunedì 10 agosto 2009 15:28
Le domande, forse, sono sem­pre le stesse. A crescere, invece, sono i so­spetti, le allusioni, i dubbi. Solo le certezze diminuiscono, fin quasi ad azzerarsi. E al­lora: cosa sta succedendo in Spagna? È pos­sibile morire così, a 26 anni, mentre si par­la al telefono con la ragazza? Ed è possibile che queste morti vadano imputate solo alla fatalità? Due anni fa Antonio Puerta, giovanissi­mo giocatore del Siviglia, ucciso in campo da un infarto, durante una partita col Geta­fe. L’altro ieri il capitano dell’Espanyol Bar­cellona, Daniel Jarque, ancora un infarto mentre riposava nella sua stanza d’albergo a Coverciano. Nel mezzo, il 31 ottobre scor­so, la sincope che ha colpito il centrocampi­sta del Real Madrid Ruben de la Red: il ra­gazzo si è salvato ma non potrà più giocare a calcio.

Tre tragedie in 2 anni: non può es­sere solo fatalità. Del resto, sono proprio le dichiarazioni dei dirigenti e dei medici che ci portano a dubitare di questa «pista». Ancora una volta, tutti ci dicono che «Jarque non aveva mai avuto problemi fisici, tutti i controlli avevano dato esi­to negativo». E e allora: com’è possibi­le morire così? Cosa sta succedendo in Spagna? Cosa succede, più in ge­nerale, al mondo dello sport? Le morti sul campo di questi atle­ti — persone che dovrebbero simbo­leggiare il top del vigore fisico — ci appaiono come morti «contro na­tura ». E intorno alle morti «con­tro natura» (15 nel calcio professio­nistico dal ’99 a oggi, ancora di più nel ciclismo), specie se non si hanno certezze e se non si crede al caso, ine­vitabilmente finiscono col prendere linfa timori, dubbi, sospetti. Timori, dubbi e sospetti che portano sempre lì, alla domanda delle domande a cui tutti pensano ma che nessuno pone apertamente: che legame c’è, se c’è, tra tutte queste morti nello sport di élite e il doping? Que­sta tragica escalation può avere a che fare con il disumano ricorso al­l’ «aiuto» farmacologico?

Non è più una questione di sport: il calcio non è meglio del ciclismo, come il nuoto non è meglio del cal­cio e così via. E non è neanche una questio­ne di Paesi: l’Italia non è meglio della Spa­gna, come la Spagna non è meglio della Francia o dell’Est europeo e così via. Il fat­to è che da troppi anni di sport si muore. Senza una ragione apparente. La Spagna, negli ultimi tempi, è sembrata solo più «spregiudicata» di altri, forse per recu­perare il tempo perdu­to. L’Operacion Puerto — con la quale è stata portata alla luce una delle più grandi centrali di doping mai scoperte nel nostro continente — non è che la punta dell’iceberg. Ma non ha fatto apri­re abbastanza occhi. A Madrid, dal dottor Eufemiano Fuentes, si è sempre sospettato (e vociferato) il passaggio di alcuni tra i più prestigiosi club calcistici spagnoli; il passaggio di non poche star del football ma pure del tennis, del ciclismo e dell’atletica leggera. Star spagnole, naturalmente, ma pure francesi, italiane e di altre nazioni an­cora. «Doping di Stato», possiamo dire. Lo stesso che abbiamo conosciuto in Italia tra gli anni 80 e 90, che ha imperato nell’ex Unione Sovietica e nei Paesi ad essa collega­ta (Germania Est su tutti), che si è svilup­pato nel Nord Europa, in Francia, in Gre­cia. È il momento di prenderne atto? Di in­terrogarsi senza ipocrisia? Di capire davve­ro? Forse sì. A meno che non sia «questo» lo sport che «ci piace» e che «vogliamo». Uno sport senza domande. Capace di tolle­rare abusi e malcostume criminali, di convi­vere con le morti di atleti nel pieno della vi­ta, di trovare normali valanghe di record del mondo che durano mezza giornata men­tre prima resistevano per anni.


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