Immigrazione, negli Usa mobilitazione contro legge anti-clandestini dell'Arizona - sabato 1 maggio 2010

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fabioeur
00domenica 2 maggio 2010 15:28
migrazione, negli Usa mobilitazione
contro legge anti-clandestini dell'Arizona

Protesta in 47 città contro il provvedimento che “trasforma in sospetti criminali tutti gli abitanti di origine ispanica”



dal nostro corrispondente Anna Guaita
NEW YORK (1° maggio) – Primo maggio di protesta in 47 città degli Stati Uniti. Gli immigrati latino americani hanno deciso di scendere in strada, e gli occhi dei politici si sono fissati su di loro. Se si constaterà che a Los Angeles, New York, Chicago, le manifestazioni hanno attirato decine di migliaia di manifestanti, vorrà dire che i gruppi di difesa degli immigrati sono riusciti a superare i disaccordi che li dilaniavano e a ritrovare l’unità che aveva caratterizzato la primavera del 2006, quando proteste e dimostrazioni si succedettero nel Paese, con la partecipazione di centinaia di migliaia di persone.

La protesta era allora diretta contro una proposta di legge federale che avrebbe sancito la criminalizzazione dei clandestini. Le manifestazioni bloccarono il cammino della legge, e coalizzarono il voto ispanico a favore del partito democratico e ai danni di quello repubblicano. Ecco dunque spiegato il rinnovato interesse dei politici: se il primo maggio di protesta avrà raccolto un grande seguito, il dibattito di quest’anno elettorale non potrà più ignorare e rimandare l’irrisolto problema degli undici milioni di clandestini che vivono e lavorano nel Paese.

A far tornare gli immigrati (legali e non) in strada è la legge anti-clandestini approvata una settimana fa dallo Stato dell’Arizona. La legge, firmata dalla governatrice Jan Brewer, repubblicana, è stata lievemente modificata in senso meno restrittivo giovedì sera dalla legislatura statale, ma non abbastanza da sedare il malcontento e l’allarme che essa ha generato in una larga parte del Paese. Come ha denunciato il New York Times, la legge “trasforma in sospetti criminali tutti gli abitanti di origine ispanica dell’Arizona, anche se sono immigrati con regolare permesso di soggiorno, o cittadini americani”.

Nella sua versione originale, e più severa, la legge dava alla polizia mandato di fermare e chiedere i documenti di residenza a chiunque fosse “sospetto di essere illegale”, di fatto concedendo agli agenti un mandato per agire secondo il principio anticostituzionale del “racial profiling”. Nella versione “corretta” la polizia dovrà chiedere i documenti di immigrazione solo a chi venga fermato per altri motivi. Ma i difensori degli immigrati notano che si possono trovare mille scuse per fermare una persona, e quindi la polizia potrà continuare a “puntare” gli ispanici e ad applicare il racial profiling, anche se in modo camuffato. Se la persona fermata non avrà le carte in regola, verrà messa in prigione, anziché essere consegnata alle autorità di confine per essere rimandata in patria. E se viaggiava nell’auto di un’altra persona, anche questa verrà messa in prigione, per favoreggiamento.

Davanti a una legge così severa, non solo il presidente Barack Obama si è detto preoccupato di “potenziali abusi e violazioni”, ma anche vari esponenti del partito repubblicano, non ultimo quel Karl Rove che era stato la “mente” delle campagne presidenziali di George Bush. Dopotutto, Bush era riuscito a conquistare al suo partito un buon 40 per cento del voto ispanico, proprio promettendo una riforma dell’immigrazione che fosse severa ma anche umana e rispettosa dei diritti civili degli individui. Quella legge però non si è mai fatta. E neanche Obama, che si era impegnato a realizzarla subito, è ancora riuscito a stilare una proposta, mentre i senatori del suo partito solo ieri hanno presentato 26 paginette che descrivono le “grandi linee” di una possibile riforma.

E’ stato davanti all’inazione del governo federale, che l’Arizona si è sentita in diritto di muoversi di sua iniziativa, violando il principio secondo il quale in materia di immigrazione è Washington ad agire e non le capitali statali. L’Arizona sostiene che il problema non è più solo l’immigrazione illegale, ma il crescere della criminalità, anche se le statistiche dell’Fbi sembrano provare il contrario e cioè che negli ultimi anni la criminalità legata all’immigrazione illegale è diminuita. Resta il fatto che il problema esiste, che negli Stati di confine al sud è avvertito in modo drammatico, e che per ora non si vede una soluzione nazionale a breve scadenza.

Se il problema degli illegali esiste, la strada della criminalizzazione scelta dall’Arizona non piace a tutti. Il sindaco di Los Angeles, Antonio Villaraigosa, ha invitato i suoi concittadini a scendere per strada il primo maggio, indossando una camicia bianca e sventolando la bandiera americana. Altre città hanno accolto lo stesso invito. E nel frattempo c’è chi ha proposto un boicottaggio dell’Arizona, come avvenne quando lo Stato si rifiutò di rispettare la festa nazionale dedicata alla memoria di Martin Luther King: allora il boicottaggio costò allo Stato molte centinaia di milioni e lo spostamento della finale del Superbowl del 1992 a Pasadena (California). La stessa punizione potrebbe ripetersi l’anno prossimo, quando si dovrebbe tenere a Phoenix la “All Star”, l’amichevole di baseball fra tutti i grandi campioni. Alcuni esponenti ispanici, notando che il 40 per cento dei giocatori di baseball sono di origini latino-americane, pensano che lo sport dovrebbe penalizzare lo Stato che tratta in modo così duro chi abbia origini ispaniche. E non basta: in questi giorni, numerose associazioni che programmavano di andare Phoenix per i loro convegni annuali hanno deciso di rivolgersi altrove, e sembra che ci siano anche state moltissime cancellazioni di turisti negli alberghi.

Ma – a riprova che il tema è molto caldo e divide l’opinione pubblica – è sorto anche un movimento contrario al boicottaggio, il “buy-cot”, come dire “compraggio”, dal verbo “buy”, “comprare”: chi ammira lo Stato del sud per la severa legge anti-clandestini propone di sostenerlo con i propri acquisti, e arginare così i possibili effetti devastanti del boicottaggio.
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