Il piccolo Rossi

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aston villa
00mercoledì 24 settembre 2008 09:32
I capelli lunghi e lisci gli cascano su due spalle da uccellino. Lui ride e sorride, e poi corre dietro agli amici, frullando nell'aria bollente una bottiglia d'acqua minerale. Ecco Luca che lancia il suo gavettone. Ecco Luca e i suoi compagni d'asfalto bagnati fradici in una domenica di fine estate che corre in moto su una pista da Kart. Alla prima occhiata qui sembrano tutti matti. Bambini stretti dentro tute di pelle che aprono il gas e giocano a centoventi all'ora. Genitori che urlano da lontano (i genitori urlano quasi sempre ma qui, per fortuna, dentro a un casco i figli non li sentono), rinchiusi oltre una rete, vicini ai loro camper e ai loro sogni che sanno di benzina.

E poi lui, Luca Marini, undici anni, una faccia sveglia, dolce e un po' così, che se lo guardi bene ci trovi qualcosa di già visto e se poi lo guardi meglio e lo senti anche parlare allora risolvi il dubbio: qui c'è tanto Valentino, fratello da parte di madre, diciotto anni più grande, stessa passione: la motocicletta.

Questo di Latina è l'ultimo appuntamento della breve stagione del Junior Trophy Nsf 100 e della scuola Hirp, creata da Antonio Vitillo insieme a Honda per tirare su piccoli piloti, insegnare loro il come si fa, il come si va e sperare che nel gruppone, magari, ci sia un nuovo fenomeno del tipo Rossi o giù di lì. Tutto gratis, dopo una selezione fatta a inizio stagione: su cento domande in pista di ragazzini ne arrivano ventiquattro. Tra cui, quest'anno, tre bambine. "Selezioniamo anche in base a test fatti sui genitori.

Certe pressioni fanno male, chi scarica troppe aspettative sui figli qui non ci arriva" dice Fabrizio Paris, psicologo dello sport, un quarantenne dall'aria pacifica chiamato a redarguire padri che esagerano e a consolare ragazzini che perdono. O cadono. E magari piangono. Perché la miscela è questa: coraggio da grandi, reazioni da piccoli. E Luca non sfugge a queste regole, anche se la sua premessa viaggia contromano: "Io sono un freddo", dice col suo accento valentinesco mentre tira giù in gola una bella aranciata.

In effetti, te ne accorgi durante l'ultima gara del trofeo Nsf, quello che ormai lui non può più vincere per colpa di due cadute nelle gare precedenti. Ma Luca qui è in pole. E allora non c'è gara. "Sono partito davanti, i miei amici si sono trovati nella mischia e così io sono fuggito via", racconta Luca alla fine, mentre accarezza la sua piccola Honda bianca, la prima moto col cambio, il passo oltre la minimoto, quella che puoi guidare anche a quattro anni, se un triciclo ti sta stretto e hai deciso che la bici non ti sballa un granché.

"Io ho iniziato a cinque e adesso mi diverto da matti. Mi ha insegnato tutto un mio amico: si chiama Willy". Willy? Possibile? Non Vale? "No, io e mio fratello ci vediamo un paio di volte alla settimana. Lui mi chiede come va la scuola, ma di moto non parliamo un granché. Non ho ancora mai chiesto consigli. E neanche gliene ho dati...". Buffo, il ragazzino. E deciso. "Non dico mai in giro che sono fratello di Valentino. E nessuno mi tratta diversamente per quel motivo. E deve essere così. Ma io a lui gli voglio bene. E anche lui ne vuole a me, anche se alla playstation sono più forte io e se lui è interista e io invece tifo per la Roma e per Totti, anche se allo stadio non ci vado perché mi fa paura".

Il Luca giallorosso di Tavullia si spiega col padre romano, cioè Massimo Marini, separato da Stefania (Luca è spiccicato a lei), che segue il figlio in giro per l'Italia e ammette che "quando dico a uno sponsor che Luca è fratello di Valentino tutto diventa più facile". Beh, forse non c'era nemmeno bisogno di dirlo. Ma Luca se la vive con la testa allegra e senza troppe menate. E poi a scuola viaggia alla grande. "Tutti ottimo e tre distinti" precisa orgoglioso. Anche perché: "Da grande spero di fare l'archeologo. Mi piacciono i reperti antichi e, soprattutto, sapere come vivevano i nostri antenati".

Eppure, sul test che girava qui nella scuola di motociclismo, lui aveva scritto che sognava di diventare un chirurgo. "Sì, è vero, ma quello perché lo voleva mia mamma". Già, la mamma: due figli che piegano in curva. Ma non ne bastava uno? "Lei un po' di paura ogni tanto ce l'ha", ammette il fratello di Valentino, che con la paura ha già fatto i conti: "Una volta, a Cattolica, su una minimoto, per sbaglio sono finito addosso a due bambini che erano caduti lungo il rettilineo. Mamma che spavento. Per fortuna che è andata a finire bene".

Il piccolo Luca ci tiene parecchio a sventolare la bandiera dell'indipendenza. "Non ho scelto la moto per via di Valentino. E nessuno mi ha spinto a farlo. Mi piace la velocità, tutto qui. Cosa invidio a mio fratello? Niente". Accidenti. Ci sarà da crederci? Intanto Luca appoggia il casco sulla sua Honda. Arriva Cecilia, rider tostissima. Gira i circuiti coi genitori. Viene da Reggio Emilia. "La sua passione è diventata la nostra", dice il padre, che indica la grande scritta sul retro del camper: "Attenzione, pilota a bordo", e poi l'adesivo della "Ceci" che piega in curva. "È stato il nonno a trasmettermi la passione" dice lei.

Ma adesso è l'ora delle premiazioni. Luca ha in mano una boccia di spumante più grande di lui. Quando è passato sul traguardo ha iniziato ad agitare nell'aria il dito della mano sinistra proprio come il fratello. "È vero, ma prima o poi inventerò qualcosa di mio", risponde il piccolo fenomeno indeciso tra un futuro alla Valentino e uno alla Indiana Jones. "C'è tempo, intanto vado veloce in motocicletta", dice. E allora applausi per Luca e per i suoi amici. Bambini buffi, coraggiosi e matti da legare.

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