Anniversario di una parola d'ordine

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stuwhima
00giovedì 10 giugno 2010 18:07
YOANI SANCHEZ

No, non si sta sbagliando, il titolo fa riferimento proprio a uno slogan che compie gli anni, a una parola d’ordine alla quale accendono una nuova candelina. In quest’isola la mania di commemorare è giunta all’assurdo di celebrare persino la prima volta che qualcuno ha pronunciato una frase. Anche se eravamo già soffocati dagli eventi e dagli anniversari, adesso si sono uniti all’elenco dei festeggiamenti quelli relativi alla nascita di una frase. Si intervistano coloro che erano presenti nel momento in cui è stato declinato un determinato verbo insieme a certi sostantivi, come se ogni giorno non nascessero migliaia di espressioni da prendere in considerazione. Oggi, per esempio, la mia vicina mi ha detto con un tono molto ispirato: “Non si finisce mai in questa casa, non si finisce mai”, che diventa il motto - appena preso in considerazione - di tutte le casalinghe del paese.

Nell’inventario delle espressioni da ricordare ci sono soltanto quelle positive, perché durante il notiziario a nessuno verrebbe in mente di mettere in evidenza i fallimenti, le menzogne e le gaffe. Certe cose non vengono festeggiate, ma si cancellano dalla storia e basta; lasciamo che siano altri a ricordarle. Per questo la stampa ufficiale dedica spazio in questi giorni soltanto a elogiare l’apparizione dell’espressione “Vinceremo!” all’interno di un motto che già di per sé era abbastanza orrendo. Sono più di cinquant’anni che l’alternativa nazionale è rimasta imprigionata in uno schematico “Patria o Morte”. Cinque decadi durante le quali ci siamo abituati all’orrore di dover optare per la Morte, mentre all’altro lato della frase si cambiava la parola “patria” con “socialismo”, che poteva anche essere sostituita dal termine “partito” o dal nome di un certo leader.

Così vanno le cose da queste parti: passando sul piano nominale, delle cose che si dicono ma non si fanno. Mitizzando la parola, anche se la realtà ogni giorno la contraddice. Non serve gonfiare palloncini per le parole d’ordine e ricordarci che hanno i capelli bianchi, se la loro antichità non le ha rese né più venerabili né più vere. Anche se vestita da festa, lo slogan “Patria o Morte: Vinceremo!” continua a provocarmi più inquietudine che tranquillità. Oggi, dopo mezzo secolo trascorso tra le sue quattro parole, suona come l’eco di tempi lontani nei quali un intero popolo finì per credere a quella alternativa. Dopo averla ripetuta così a lungo, averla vista dipinta sui manifesti, averla ascoltata dalle tribune, continuo a chiedermi se davvero abbiamo vinto, se questa situazione che oggi viviamo si può chiamare “vittoria”.

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