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Sulla crisi della democrazia italiana

Ultimo Aggiornamento: 22/06/2010 23:33
22/06/2010 23:33
 
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Da Granma Internacional edizione Italiana


La descrizione della situazione attuale dell’Italia, (enunciata da Angelo D’Orsi in “Reagire al degrado”), suscita automaticamente una domanda cruciale: come e perché siamo giunti a questo punto? Se non si risponde preliminarmente ed esattamente a tale quesito, se cioè non si individuano precisamente le cause della malattia si rischia di propinare al paziente cure e medicinali inutili, anzi dannosi. Un serio e approfondito dibattito su tale argomento nella fu-sinistra non è mai neanche stato proposto; si è sempre preferito parlare di “unità contro Berlusconi”, di contenitori politici e di grandi ammucchiate allo scopo di salvare qualche strapuntino ai soliti noti in nome dell’unità più o meno antifascista. E pensare che rispondere correttamente alla domanda non richiede molto tempo.

Una premessa: so bene che occorrerebbe cercare di definire almeno approssimativamente cosa s’intende per democrazia, il sistema generalmente ritenuto più idoneo a garantire la libertà degli individui, ma tralascio questo capitolo, ripromettendomi se ne avrò l’occasione di scriverne più diffusamente. Per il momento, uso la parola democrazia intendendola così come si ricava dalle norme della Costituzione italiana.

In Italia la crisi della democrazia non è un fatto recente, avvenuto come vuol far credere la propaganda del cosiddetto “popolo della sinistra” con la “discesa in campo” di Berlusconi. Anche il degrado culturale è precedente alla nascita di Mediaset e al salvataggio delle televisioni berlusconiane da parte di Bettino Craxi. Berlusconi non è la causa del degrado e della crisi della democrazia, ma ne è il prodotto.

L’attacco alla libertà di stampa, l’invadenza mediatica del premier, la mignottocrazia, il proliferare di mafie, cricche e comitati d’affari, moderni lanzichenecchi che saccheggiano i beni pubblici, non sono che le tragicomiche conseguenze dell’avvenuto passaggio dalla democrazia dei nostri padri costituenti alla democrazia imperiale USA dell’epoca della globalizzazione capitalista. La crisi dell’economia, la crisi occupazionale, la crisi finanziaria nei paesi occidentali sono il prodotto di una fase di passaggio, iniziata almeno trent’anni fa, da un modello capitalistico più o meno “keynesiano” al capitalismo globalizzato. Il diktat su Pomigliano d’Arco è l’espressione più aggiornata di questa transizione. All’interno di tutte queste fasi di passaggio, di questa involuzione della democrazia, la sinistra, tutta la sinistra ha avuto una responsabilità preminente.

Se si vuole fissare una data da cui far iniziare il declino della democrazia in Italia, così come l’avevano intesa i padri costituenti, occorre riandare verso la fine degli anni Settanta quando, sotto la pressione di un PCI smanioso di governare, il sindacato sposa appieno le rivendicazioni del padronato. Si veda a tale proposito la famosa intervista a la Repubblica di Luciano Lama: per dimostrare ai padroni le capacità di governo del sistema capitalistico da parte della sinistra, il segretario della CGIL sconfessa dieci anni di politica rivendicativa sindacale e di conquiste del movimento operaio, ed impone politiche di moderazione salariale. “E ora, e ora miseria a chi lavora” urlavano sarcasticamente nel 1977 gli studenti dell’università La Sapienza di Roma contestando la presenza di Lama nel loro ateneo e la “politica dei sacrifici” imposta ai lavoratori. E infatti oggi, larghe fette di popolo italiano alla miseria ci sono arrivate.

Dall’ottobre 1980 i lavoratori diventano sempre più una variabile dipendente dalle esigenze del padronato, mentre i dirigenti del più grande partito della sinistra si disfano velocemente dell’aggettivo comunista e si propongono come zelanti gestori degli interessi padronali. Negli ultimi 30 anni le prime picconate all’impianto costituzionale, le politiche più antipopolari, i più micidiali attacchi alle condizioni di vita delle classi subalterne in Italia sono stati portati in prima battuta dalla sinistra più o meno unita (abolizione della contingenza, riforme pensionistiche varie, precarizzazione del lavoro, furto del TFR ecc.).

Cosicché oggi, il 35-50% degli operai della FIAT Mirafiori è pesantemente indebitato con agenzie finanziarie per far fronte alle più elementari necessità della vita (dati diffusi dalla FIOM torinese), un sempre maggior numero di pensionati raccoglie gli scarti di verdura e frutta nelle aree mercatali rionali e centinaia di disperati fanno code di ore agli sportelli INPS nei primi mesi di quest’anno per chiedere spiegazioni per diminuzioni delle pensioni di 2 (due!) euro. Per accorgersi della disperazione dilagante basta frequentare i patronati o le code per ottenere sussidi per l’affitto, per il riscaldamento ecc.

La morte della democrazia sta nel fatto che gli interessi di quelle decine di milioni di italiani di cui sopra non sono né rappresentati né difesi. Prova ne è che oggi è più facile che ai congressi degli industriali sia più applaudito un segretario sindacale che non Berlusconi, così come ad un congresso sindacale è più probabile trovare la Marcegaglia che non un semplice operaio.

Cesare Allara


Che fare? E’ evidente che occorre ripartire da dove il movimento operaio era stato mollato nel 1980. Non voglio usare formule desuete del tipo “centralità della classe operaia”, anche perché non saprei dire se la classe operaia esiste ancora. Ma è chiaro che se i lavoratori non mettono in campo al più presto un duro scontro sociale, per intenderci stile 3 luglio 1969, contro i padroni di ogni risma, non solo contro Berlusconi, la Costituzione la possiamo salutare.

Da quanto scritto sino a qui è altresì evidente che i dirigenti di questa sinistra responsabili di questi disastri non possono essere coloro che ci faranno uscire da questa situazione perché non hanno più alcuna credibilità, come hanno dimostrato ampiamente tutti i risultati elettorali. C’è l’urgente necessità di scavare per costruire una nuova casa, ma i detriti di quella vecchia impediscono i lavori. Siamo ancora purtroppo nella necessità di sgomberare al più presto le macerie. (Cesare Allara è un noto sindacalista, ed ha vissuto tutte le lotte operaie dagli anni sessanta).

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